Swingin' Canterbury
Swingin' canterbury
Autore: Michele CoralliPREZZO: 14,00€
“Swingin’ Canterbury: viaggio nella provincia del rock progressivo britannico: 1967-1981”: Nel marzo del 1967 i Soft Machine pubblicano il loro primo 45 giri, Love Makes Sweet Music, nell’ottobre del 1981 il singolo It's My Party di Dave Stewart e Barbara Gaskin rimane per quattro settimane consecutive in testa alle classifiche dei dischi più venduti nel Regno Unito. Tra questi due eventi si sviluppa una delle leggende più seducenti del rock progressivo britannico: quella della cosiddetta “scuola di Canterbury”.
"I Libri di Harry #5" [2007] • 150 pagine
Michele Coralli (1967), redattore e giornalista musicale. Si è laureato al DAMS di Bologna con una tesi di argomento etnomusicologico; collabora da tempo con Blow Up, Amadeus e altre testate specializzate. In passato ha scritto per Auditorium, il Giornale della Musica e Strumenti Musicali. Da sempre interessato alle musiche di confine e ai confini delle musiche, ha creato nel 2002 il sito www.altremusiche.it. Nato a Milano, vive oggi al confine della terra, dove comincia il mare.
“Swingin’ Canterbury: viaggio nella provincia del rock progressivo britannico: 1967-1981”: In March 1967 Soft Machine release their first 7”, “Love Makes Sweet Music”; in October 1981 the 7” “It's My Party” by Dave Stewart and Barbara Gaskin is at the top of UK charts for four consecutive weeks. Between these two events develops one of the most beautiful legends of the english progressive rock: the one called “Canterbury school”.
"I Libri di Harry #5" [2007] • 150 pages
Michele Coralli (Milano, 1967), music journalist, graduated at the DAMS in Bologna with a thesis on ethnomusicology. He contributes to “Blow Up”, “Amadeus” and other specialized magazines. In the past he has written for “Auditorium”, the “Giornale della Musica” and “Strumenti Musicali”. In 2002 he created the website www.altremusiche.it. Currently he lives on the borders of the land, where the sea begins.
Di seguito l'indice e un estratto dal primo capitolo del libro:
INDICE
Introduzione
Cap. I High School e fiori di Wilde
Cap. II Soft Machine: un marchingegno (s)componibile
Cap. III Caravan, il fascino discreto della borghesia
Cap. IV Avanti come gli Hatfield and the North
Cap. V Da Canterbury a Parigi: i Gong di Daevid Allen
Cap. VI L’eretico Wyatt e un’altra macchina morbida
Cap. VII National Health: troppo tardi!
Cap. VIII Ramificazioni, epigoni e paracanterburiani
Discografia
Bibliografia
Internet
CAPITOLO I: High School e fiori di Wilde
Ma chi c’è a Canterbury all’inizio degli anni ‘60? Ovviamente Robert Wyatt, in verità di Bristol, ma canterburiano di adozione dall’età di undici anni, poi Mike Ratledge e i fratelli Hopper, Brian e Hugh. Sono tutti studenti alla Simon Langston Grammar School for Boys, un tradizionale istituto che prepara i futuri professionisti e gli impiegati delle pubbliche amministrazioni, o eventualmente offre le basi culturali per il salto ai college universitari. La scuola secondo una consuetudine molto più diffusa a quei tempi nel Regno Unito è esclusivamente maschile e non è tra le più esclusive della città. Non adotta nemmeno modelli di insegnamento che stimolino particolari approcci artistici, ad eccezione di quelli più tradizionali. In tema di musica e teatro esistono istituzioni che godono di un certo rispetto all’interno della scuola, come l’orchestra, il coro e la compagnia di recitazione. Fuori dalla scuola c’è una piccolo centro geloso della sua storia, Canterbury. Una città immersa in quella provincia inglese che conserva con devozione la propria quiete tramandata attraverso consolidate e ripetitive abitudini, monumenti gotici e patrimoni storici di assoluto rilievo.
Insomma per certi versi un luogo ideale: un habitat per quella piccola borghesia produttiva, che è il motore silenzioso delle economie di gran parte dei paesi occidentali. I suoi figli, rispetto a quelli delle classi meno agiate, hanno la possibilità di giocarsi le carte frequentando quelle scuole. Le dialettiche politiche sono ancora lontane. Anzi, probabilmente da queste parti il ‘68 non è mai arrivato, se non altro nelle sue manifestazioni più esasperate. Siamo in provincia e la politica si gioca più sulle reciproche simpatie o antipatie. Ad esempio le famiglie di Hugh Hopper e Robert Wyatt stanno sui due fronti contrapposti della politica inglese, conservatori i primi, laburisti i secondi. Il che contribuisce sempre a tenere vive le distanze. “[Robert] veniva da differenti background. I suoi genitori erano intellettuali di sinistra, mentre i miei erano gente normale, gente che sta nel centro della strada [middle-of-the-road people]”.[1] È così per tutti ed è così anche a Canterbury. Ma, al di là della militanza politica, che diventa solamente per Wyatt un importante punto di riferimento a partire della sua adesione al pensiero comunista, l’ideologia non è un elemento fondamentale in questa storia.
Invece è importante parlare della casa di Wyatt, che negli anni ‘50 si chiama ancora Robert Ellidge, dal cognome del padre George, successivamente abbandonato a favore di quello della madre Honor Wyatt. La famiglia Ellidge-Wyatt vive a Lydden, un villaggio che si trova più vicino a Dover che a Canterbury. I Wyatt sono considerati una famiglia di stravaganti socialisti, molto aperti e disponibili nei confronti di tutti quelli che passano per la casa, una vecchia dimora di campagna. E di gente ne passa molta da Welligton House che diventa anche per questo un vero e proprio luogo di ritrovo e formazione per molti dei protagonisti di questa storia. Intanto c’è il padre di Robert, George, che fa lo psicologo ed è un grande appassionato di jazz, opera e musica classica. È da lì che il giovane Robert inizia a sedimentare la sua grandissima passione per la musica afroamericana e non solo. Nonostante una giovanile infatuazione per lo skiffle – se ne possono sentire dei rimasugli in un paio di canzoni dei Wilde Flowers – è gente come Charlie Parker o Stan Kenton a entrare nell’immaginario Olimpo musicale di Robert e del fratellastro Mark, che è tra i primi a iniziare a collezionare dischi. Nella casa c’è poi anche un pianoforte sempre a disposizione per qualche strimpellata, mentre alla Simon Langston School è stato fondato il primo Jazz Club della scuola. È proprio il jazz, e non il rock’n’roll, a costituire il primissimo orizzonte culturale dei futuri canterburiani. Addirittura è un disco di Cecil Taylor (per l’esattezza At Newport a nome di Gigi Gryce – Donald Byrd Jazz Laboratory & The Cecil Taylor Quartet) a determinare il contatto tra Robert Wyatt e Mike Ratledge che grazie a quell’album e alla comune passione per il jazz diventano amici, nonostante la minima differenza di età faccia tenere inizialmente le distanze tra i due adolescenti.
Mike, che vive con la famiglia alla periferia di Canterbury, è quello che ha la più precoce educazione musicale, ben radicata nella cultura e nella musica classica, cosa che lo distoglie completamente da ogni interesse nei confronti delle musiche più popular che girano tra i coetanei.
Fino all’età di diciassette anni ascoltai solo musica classica, perché in casa non c’era altro. Pian piano cominciai a interessarmi ad altre musiche, musiche diverse da quelle che si dovevano ascoltare. Al jazz arrivai piuttosto tardi, procedendo a ritroso, per la verità. Ero tutto preso dall’avanguardia purista, da qualsiasi cosa fosse d’avanguardia. All’epoca era il mio interesse principale. Allora, tutti i diciottenni seguivano quelle cose: Cage, Bertram, Haydn, Stockhausen, Berio, tutti gli americani...[2]
Questa coerenza, che si trasforma spesso in vera e propria austerità, agli occhi di molti fans dei Soft Machine verrà in seguito apertamente criticata soprattutto da parte dei sostenitori di un approccio da parte del gruppo più marcatamente orientato alla canzone.
Assieme a Ratledge suona Brian Hopper, fratello di Hugh. Anche lui può vantare i primi rudimenti classici su pianoforte e violino. In realtà vorrebbe suonare l’oboe, ma i suoi optano per un più economico clarinetto. I due fanno parte anche dell’orchestra della scuola e come duo si esibiscono dal vivo su programmi che abbracciano anche pagine del Novecento storico.
Se Robert e Mike condividono la passione per il jazz, anche quello più d’avanguardia, per i fratelli Hopper certo beat anglosassone e i gruppi come gli Shadows costituiscono un modello di confronto per impratichirsi sulla chitarra elettrica. Il fratello Hugh, più piccolo, nel più naturale spirito di emulazione dei fratelli minori, si mette alla prova sul clarinetto, per poi passare al piano e quindi alla chitarra. Il fine è quello di riuscire a raggiungere quel minimo livello esecutivo che può consentire di intonare qualche cover rhythm’n’blues. Poi l’amore per il basso, che fa acquistare ai genitori un modello Höfner (stessa marca di quello di Paul McCartney), ma solo perché è il più economico.
Capita allora che ci si trovi tutti insieme a suonare alla Wellington House, come ricorda seraficamente Hugh Hopper: “Iniziai a suonare qualche cosa di jazz e rock’n’roll assieme a Brian e Robert. Ma davvero non sapevo quello che stavo facendo”.[3]
Dal canto suo l’inquieto Wyatt sembra anche il più disinteressato nell’apprendimento delle abilità necessarie a decidere definitivamente a quale ramo dell’arte legare il proprio nome. Si diletta soprattutto di pittura, espressione artistica che lo vedrà fruitore entusiasta di fronte ai capolavori di ogni epoca (come ci ha raccontato in una nostra intervista di qualche anno fa che ha abbracciato anche questi temi).[4] Ovviamente inizia a mettere le mani anche su tutti gli strumenti che capitano a tiro, ma, con un’ironia divenuta poi proverbiale, anche Wyatt rammenta quei tempi senza particolari slanci idilliaci:
Non ho mai preso la decisione di essere un musicista quando ho cominciato a suonare. Ancora adesso non so esattamente cosa farò da grande. C’era questa opportunità allora di fare il musicista ed era ottima, specie se non riuscivi a passare gli esami e non avevi l’opportunità di fare altro. Ho tentato un bel po’ di altri lavori, ma devo dire che fare musica è quello che mi viene più facile.[5]
Dato che la casa dei Wyatt è grande e gli stipendi non elevatissimi, l’affitto di alcune camere dell’appartamento ai diversi studenti di passaggio si dimostra un buon mezzo per portare qualche soldo in più nelle casse famigliari. Ma anche un’occasione per fare nuove conoscenze. Come quella di Christopher David Allen, noto nel proseguimento di questa storia come Daevid Allen, che tramite un’inserzione sul giornale trova una camera proprio a Wellington House. Arriva da Melbourne, suona la chitarra e anche i suoi gusti si legano al jazz. Suo padre, dotato di uno straordinario talento nel trovare a orecchio le canzoni del momento e nel riproporle al pianoforte agli amici tra colossali bevute, è la persona che lo avvicina alla musica per la prima volta, anche se Daevid, pur non avendo grandissime doti strumentali, sceglie fin da subito la via della sperimentazione come strada espressiva che sintetizzi suoni e parole. E dove la perizia trova qualche ostacolo, allora subentra la suggestione letteraria, la poesia, la parola performata. Sotto questo aspetto i modelli da seguire sono già tracciati dalle prime esperienze che si legano alla Beat Generation, di cui Allen è un grande ammiratore. Come lo è di personaggi eclettici come Sun Ra, a cui si possono elementi che rimangono in un certi approcci cosmici e per certi versi profetici della sua musica successiva. Anche a Melbourne, fin da giovanissimo, Allen si esibisce in improvvisate performance che mettono insieme qualche sgangherato accordo che integra solenni quanto convinti reading poetici. Al suo arrivo a Welligton House questo beatnik desta un grande interesse, soprattutto nel giovane Wyatt affascinato dal personaggio e dal suo bagaglio di libri, marijuana e dischi jazz.
L’altro personaggio un po’ out del giro è Kevin Ayers, che abita a Herne Bay, località balneare a nord di Canterbury. Ha vissuto in Malaysia, i genitori sono divorziati, a scuola non brilla e ha pure qualche piccola disavventura con la polizia per via di qualche spinello. È uno che si arrangia con qualche lavoretto e finisce per conoscere Robert Wyatt per via di comuni progetti costruiti attorno a una provvisoria fidanzata ambita da entrambi. Anche lui viene accolto Welligton House in quello che sembra quasi un piccolo circolo culturale, che non ha uguali in tutto il South East inglese. Per Ayers è l’occasione di darsi quella formazione musicale, ma anche culturale, che la scuola inglese non è stata in grado di fornirgli: “Mi sentivo musicalmente molto ignorante. Fino ad allora in Malaysia avevo solamente ascoltato del pop cinese”.[6]
Poi ci sono anche altri ragazzini che fanno parte di questa storia. Si chiamano Richard Sinclair, suo cugino Dave Sinclair, Richard Coughlan e Pye Hastings, ma per il momento lasciamoli da parte. Entreranno in scena successivamente. Ora serve tener presente che, anche se non tutti strettamente legati da rapporti da amicizia, è questa la combriccola che costituisce il fulcro di una infinita serie di esperienze musicali che si legano alla denominazione di scuola di Canterbury.
La tesi di chi scrive questo libro, condivisa da molti tra quelli che hanno seguito le gesta di questi musicisti, sottoscrive pienamente quanto affermato da Hugh Hopper, Richard Sinclair e Robert Wyatt in tre diverse occasioni.
Il primo:
Si tratta solo di un’etichetta. A Canterbury c’eravamo io, mio fratello Brian, Robert Wyatt, Mike Ratledge e quelli dei Caravan. […] È solo una convenzione.[7]
Il secondo:
La mia musica tende a essere definita musica della scena di Canterbury. Mi sta bene, non è un problema, è il posto dove ho sempre vissuto, in cui ho scritto la mia musica. Alcuni dei musicisti che hanno fatto parte di formazioni come Soft Machine, Caravan, Kevin Ayers, ecc. non vi abitano più, ma continuano a suonare una musica simile a quella di allora. Qualcosa ci ha spinti ad interpretare diverse influenze musicali, jazz e rock, con un approccio particolare alla canzone.[8]
Infine Wyatt:
Come il cristianesimo è stato inventato settant’anni dopo la morte del pover’uomo, anche la ‘scena di Canterbury’ è stata inventata molto tempo dopo, dall’esterno.[9]
© Tuttle Edizioni 2008
TUTTLE Edizioni - P.iva 01637420512 - iscrizione rea n. 127533 del 14 Gennaio 2000