R.E.M.
R.e.m.
Autore: Alessio BudettaPREZZO: 12,00€
R.E.M. Songs and Legends
Director's Cut #14 (aprile 2019) • 116 pagine b/n • 12,00 euro
Dietro la facciata di tranquilla rock band i R.E.M. celano un incantevole groviglio di enigmi, labirinti e ramificazioni tra punk, underground, arte e rock’n’roll primigenio. Sono stati sinonimo di onestà e integrità artistica in un ambito che ha sempre idolatrato il caos, gli eccessi, la provocazione. Sono diventati la band più pagata al mondo dopo che nel primo decennio di vita hanno snobbato video, hit single e compromessi commerciali. Si sono imposti come paladini indiscussi di un rock genuino, viscerale, formalmente impareggiabile e ispiratissimo. Sono stati, semplicemente, il più grande gruppo rock degli ultimi quarant’anni.
Alessio Budetta, juventino e miscredente, ha scritto per anni sulla fanzine cartacea Succoacido e ha conseguito una laurea in DAMS con una tesi sui Pere Ubu. Scrive su Blow Up dal luglio 2016 e partecipa alla trasmissione Kaos Order su Radio Kaos Italy dal dicembre 2017
[di seguito un estratto dal capitolo "REM'n'roll]
[...] Ad ascolto ultimato si possono trarre alcune curiose conclusioni. Innanzitutto il tentativo di scrittura sembra in linea di massima quello di edulcorare le ruvidezze del punk per un pubblico giovane, bianco e provinciale, innestandoci una forte dose di citazionismo rock’n’roll, rimandi da classici del rock e asperità proto-dark difficilmente riscontrabili nelle rock band indipendenti di quel periodo. Il tutto richiama già alla mente una sfocata idea di southern gothic, e non a caso i quattro avrebbero scritto una piccola pagina della propria leggenda suonando di spalla ai Cramps al Peppermint Lounge di New York, la notte di Halloween del 1983, sotto il falso nome di It Crawled from the South. Sempre non a caso i nostri avevano già strappato consensi presso il pubblico newyorkese per via del loro “suono sudista”. Una delle loro peculiarità era però quella di suonare “del sud” senza riallacciarsi ad alcuna scena locale, piuttosto trasponendo l’impeto e la suggestione dei Big Star di Alex Chilton (tra le poche influenze dichiarate di Buck) in uno scenario successivo al punk stesso. Va da sé infine che naturalmente non c’era nulla di Southern Rock nel loro suono, così come non si macchiavano esplicitamente di country alla maniera di tante formazioni cow-punk del periodo. L’impressione è allora quella di una band che partendo da radici e tradizioni più vaste, americane e rurali, cercasse di nobilitarsi abbracciando la carica europeizzante della new wave e l’urgenza espressiva del punk, dando vita ad un mix di particolare impatto estetico tale da ipotizzare per un breve momento una nuova via del suono sudista. [...]
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