Meat Puppets
Meat puppets
Autore: Roberto CurtiPREZZO: 13,00€
Meat Puppets. I figli del deserto
Director's Cut #30 (aprile 2023) • 116 pagine b/n • 13,00 euro
Nati e cresciuti nella desertica Arizona, i Meat Puppets sono uno dei gruppi più originali, influenti e sottovalutati del rock americano degli ultimi decenni. Agli esordi, agli albori degli anni 80, suonano un hardcore punk stonato e sferragliante. Ma ben presto i due fratelli Curt e Cris Kirkwood e il batterista Derrick Bostrom si inventano uno stile personalissimo, che pesca dalla tradizione e persegue strade bizzarre e originali, e in cui spicca lo stile di Curt, tra i chitarristi più innovativi della sua generazione. Influenzano gruppi come Minutemen, Dinosaur Jr. e Nirvana, e Cobain li chiama sul palco con lui nel leggendario Unplugged del 1993. Arriva il successo, in piena febbre grunge, ma arrivano anche i guai, con la tossicodipendenza di Cris. Sembra che il trio abbia imboccato la strada dell’autodistruzione. E invece, dopo cambi di formazione, progetti collaterali e solisti, storie di abbrutimento, galera e morte, i Meat Puppets sono vivi e vegeti, e la loro musica è ormai un lungo fiume tranquillo che giunge fino ai nostri giorni.
► Roberto Curti (Parma, 1971) collabora a “Il Mereghetti”, “Nocturno” e “Film TV”. Ama i gatti, l’enogastronomia e il giardinaggio; adora i cani, il Negroni e Lucio Battisti. Ha pubblicato svariati libri in Italia e all’estero, tra cui Italia Odia. Il cinema poliziesco italiano, Italian Giallo in Film and Television e biografie critiche di Riccardo Freda ed Elio Petri. Scrive su “Blow Up” dal 2009 e reclama da tempo uno scatto d’anzianità.
[di seguito, parte dell'Introduzione]
Acqua dal deserto
«Quando ho sentito i Meat Puppets per la prima volta, per me è stato: “Wow, ecco cosa escogitano questi tizi, lì da dove vengono. Ecco cosa ha portato il deserto». (Ian MacKaye)
«Going up the river walls / Sailing the river walls / Somewhere in the desert / Where the mushrooms grow blue and tall». (Meat Puppets, Outflow)
Ci sono molti modi per iniziare a parlare dei Meat Puppets. Si potrebbe, ad esempio, partire da quando il dodicenne Cris Kirkwood, folgorato dalla scena del duello musicale tra Ronny Cox e il ragazzo ritardato che suona il banjo in Un tranquillo weekend di paura, decide di imparare a suonare lo strumento preferito dai rednecks, strumento che peraltro non suonerà mai in un disco del gruppo fino a tempi recenti. O da quel giorno in cui Curt Kirkwood, appena diciottenne, sopravvive a un atterraggio aereo di fortuna in Ontario e si fa miglia e miglia a piedi nella tundra, nella stagione degli orsi polari, per cercare aiuto. Da quel giorno in poi avrà una paura fottuta di volare, ma prenderà una decisione che gli cambia la vita: fare il musicista. O, ancora, dall’immagine che la maggior parte di voi probabilmente associa al nome Meat Puppets, quella di Kurt Cobain che chiama sul palco i due fratelli Kirkwood per suonare tre loro canzoni nell’Unplugged registrato nel novembre 1993 negli studi di MTV, tra drappi, candele e orchidee, con Curt che imbraccia la Buck Owens tricolore di Pat Smear (rosso, giallo e blu, come i colori di cui sono dipinte le celle degli ergastolani nell’isola del Diavolo in Piano d’evasione di Bioy Casares...). Parrebbe il momento giusto per spiccare il volo, e difatti le masse si accorgono di uno dei segreti meglio custoditi della musica americana degli ultimi tre lustri: l’album successivo dei Meat Puppets, “Too High to Die”, vende più dei precedenti messi insieme e il singolo Backwater diventa la loro prima e unica hit. Ma se l’Unplugged da celebrazione si rivela invece un triste requiem per i Nirvana, se non l’ultimo valzer per una stagione intera del rock, per uno dei fratelli Kirkwood segna anche l’inizio di una rapida discesa nella tossicodipendenza, in abissi ardui da sondare. Si potrebbe allora, e qualcuno l’ha fatto, aprire la storia dei Meat Puppets con l’immagine di Cris Kirkwood, eroinomane perso, che rovista con un ago tra le ulcere che gli solcano la pelle dello stomaco in cerca di una vena in cui iniettarsi l’eroina; oppure con l’episodio grottesco della sparatoria nell’ufficio postale di Tempe, Arizona, nel 2003, in cui Cris si becca una pallottola alla schiena, sparata da una guardia giurata durante un diverbio, e finisce prima all’ospedale e poi in prigione, per quella che all’epoca sembrò a tutti la parola fine alle vicende del gruppo, e con ogni probabilità dello stesso Kirkwood.
Ci sono molti modi, certo, per parlare dei Meat Puppets. A me va di iniziare così.
Una notte, siamo attorno all’ottobre 1986, lo scassato camper con cui i tre girano l’America, reduci dall’ennesimo concerto, fa sosta dalle parti di Long Island, in un’area di parcheggio attrezzata con elettricità e una fossa biologica per lo scarico delle acque grigie. È una bella notte di luna, tutt’intorno c’è solo oceano, a perdita d’occhio. I nostri eroi parcheggiano per la notte e ne approfittano per svuotare il serbatoio. Estraggono il tubo flessibile di smaltimento dal ventre del camper, lo collegano alla valvola della fossa di cemento nel terreno, azionano una leva et voila. Cris, la cui mente è già decisamente alterata dalle sostanze assunte quel dì, osserva affascinato il tubo di gomma sussultare come un essere vivente mentre si libera del materiale organico. Fino a quando si accorge che c’è un problema. Il serbatoio dell’area è pieno, e la materia fecale inizia a sgorgare dal suolo.
Ora, per chi non è pratico della faccenda, ai serbatoi dei camper destinati alla raccolta delle deiezioni si aggiunge di prammatica un concentrato anti-odore dal vivace colore blu. Ed è un blob azzurrognolo e fosforescente quello che erutta in quantità sempre maggiore dal buco nel terreno, una sorta di gigantesca ameba blu che, alla luce della luna piena, come dotata di intelligenza propria, si dirige verso l’oceano. Cris contempla la stravagante massa semiliquida e colorata che si disperde in mille rivoli mentre scorre a valle, lenta e inarrestabile. È un trip psichedelico. A quell’osservatore dai sensi intorpiditi pare di vedere una gigantesca lumaca maleodorante e blu, una creatura che si direbbe materializzata da uno dei bizzarri disegni con cui lui e il fratello riempiono quaderni su quaderni. Un animale patafisico fatto di escrementi e carta igienica degno del Codex Seraphinianus, in cammino verso il brodo primordiale da cui tutti proveniamo. Potrebbe star lì a guardare per tutta la notte, Cris; poi però si accorge che sul cammino di quell’essere immondo eppure bellissimo c’è una tenda, e in quella tenda ci sono campeggiatori che di lì a poco faranno un incontro tutt’altro che piacevole. Meglio eclissarsi. [...]
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