Iggy Pop
Iggy pop
Autore: Federico GuglielmiPREZZO: 12,00€
Iggy Pop. L'indomito
Director's Cut #21 (gennaio 2021) • 116 pagine b/n • 12,00 euro
A settantatré anni, e con alle spalle più di mezzo secolo di una carriera avviata ufficialmente alla guida degli Stooges, l’uomo nato James Newell Osterberg rimane uno dei simboli più credibili di un r’n’r che non rinnega mai il suo spirito più genuino. Un uomo ingovernabile che nulla si è negato in termini di eccessi, che ha cambiato spesso pelle seguendo l’istinto, che più volte è morto e che altrettante volte è risorto, che ha acquisito lo status di leggenda a dispetto dei passi falsi. La sua storia personale e musicale è un folle ottovolante sul quale ogni cultore del rock non può esimersi dal fare un giro. E un altro giro. E poi un altro ancora.
Classe 1960, romano e romanista, Federico Guglielmi opera da oltre quarant’anni nel giornalismo musicale. Ha lavorato come collaboratore o redattore per una ventina di riviste ideandone e dirigendone anche due, ha un lungo curriculum come autore e conduttore di programmi radiofonici della RAI, ha firmato una trentina di libri e prodotto un paio di decine di dischi. Ha inoltre curato numerose ristampe, gestisce un blog e vorrebbe essere nato vent’anni prima per aver potuto vivere da adulto Sixties e Seventies. Sul suo biglietto da visita, la qualifica è “rock’n’roll soldier”.
[di seguito l'Introduzione]
Ogni appassionato di musica ha le sue icone, i suoi artisti “di riferimento” apprezzati/amati anche a prescindere dallo spessore altalenante dei dischi e dagli eventuali incidenti di percorso; artisti che si sentono vicini, nei quali ci si vorrebbe immedesimare, dei quali si ammira qualcosa di più - a volte, senza neppure identificarla con precisione - delle qualità di autore, di cantante o strumentista, di performer. Dovessi sceglierne una e stop, delle mie icone, sarebbe al 100% Iggy Pop. È così grossomodo dalla metà dei ’70, quando con incolpevole ritardo lo scoprii in quanto frontman degli Stooges grazie a registrazioni casalinghe su audiocassetta fornitemi da un amico; all’epoca la reperibilità italiana degli LP della band era piuttosto difficoltosa, e riuscii a risolvere il problema solo dopo qualche anno salendo su un treno per Firenze e acquistando da Contempo le ristampe francesi marchiate “WEA Filipacchi Music”. Nonostante gli inevitabili momenti bui del suo percorso, la situazione non è mai cambiata: Iggy è sempre rimasto IGGY. Non a caso, quando nei ’90 Il Mucchio Selvaggio mi chiese di scegliere l’immagine di un musicista da collocare come “logo personale” sulla colonnina con i miei voti agli album del momento, optai per lo storico scatto di Gerard Malanga; purtroppo mi imposero di usare un primo piano del volto e non, come avrei invece preferito, di un altro dettaglio del corpo che a mio avviso sarebbe stato ben più “alla Iggy Pop”.
In ormai quasi mezzo secolo di Fede, ho colto ogni occasione per cementare il rapporto con la Sacra Iguana. Ho affrontato trasferte per ammirarlo in concerto (non tante quante avrei voluto, ma è inutile piangere sul latte versato) e ricordo soprattutto la prima in assoluto, nel maggio 1979 a Parma, quando la mia avventura sulla carta stampata non era ancora iniziata (avrei però consegnato due articoli, senza sapere se sarebbero mai stati pubblicati, il giorno dopo lo show: un segno del destino?); alla EMI avevano deciso che la mia piccola carriera di conduttore radiofonico nell’etere romano sarebbe bastata per un accredito e un posto nel pullman dei giornalisti importanti, ma non per il pernotto in albergo (rinnovo il mio grazie a Mauro Eusebi di Nuovo Sound, che mi lasciò dormire nella sua vasca da bagno). Di Iggy ho poi scritto parecchio, ci ho parlato due volte faccia a faccia e altre due al telefono, ho fatto una foto con lui scoprendo con divertita sorpresa che al posto di “cheese” preferiva dire “cocksucker” (chissà se lo preferisce ancora) e adesso ne ho addirittura riassunto le avventurose gesta in un libro. Un libro che ovviamente è uniformato allo schema della collana cui appartiene ma che, alla fine di ogni capitolo, presenta alcune note di approfondimento “laterale”; in chiusura c’è inoltre una discografia ragionata, ovvero una guida parziale - per quella integrale ci sarebbero voluti ben altri spazi, ammesso che fossi riuscito a venirne a capo - ma più che esauriente, utile per ricordare o scoprire produzioni meno visibili di quelle standard. Volendo ascoltarle, per smanie completiste o semplice curiosità, non ci sarà bisogno di investire tempo, energie e denaro in gravose ricerche di oggetti piatti e rotondi, come sarebbe stato indispensabile prima di Internet: su YouTube si trova quasi tutto, se non proprio tutto.
Di quest’uomo, delle sue canzoni e delle sue peripezie si tratterà dunque nelle prossime pagine; con rigore, ma anche con il rispetto dovuto a un protagonista assoluto della storia del rock, sia per quanto ha realizzato direttamente, sia per l’influenza esercitata su molti. E oltre al rigore e al rispetto c’è forse un pizzico di indulgenza, benché non eccessiva come quella (inconscia, involontaria) profusa in certe mie recensioni giovanili, quando più o meno tutto ciò che arrivava da lui mi sembrava, se non oro, almeno argento. È prossimo a compiere la bellezza di settantaquattro anni, l’indomito Iggy, ma per essere sicuri che l’anagrafe non menta si deve guardarne il viso scavato dalle rughe e quegli occhi che, seppur sempre vivaci, tradiscono l’averne viste e vissute tante, magari troppe. Dell’età e non solo, però, lui pare strafottersene, e invece di tirare i remi in barca non smette di cimentarsi in ulteriori sfide e azzardi. Con e senza ostentazioni di smorfie sfottenti, torso nudo, organo sessuale.
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