Daft Punk
Daft punk
Autore: Christian Zingales
 
PREZZO: 13,00€
Daft Punk

Daft Punk. Umani prima di tutto
Director's Cut #36 (ottobre 2024) • 132 pagine b/n • 13,00 euro

Thomas Bangalter (1975) e Guy-Manuel de Homem-Christo (1974), figli della borghesia parigina, nel 1987 si conoscono al Liceo Carnot di Parigi e nel ’92 formano la indie band Darlin’. Da qui un’inaspettata storia musicale (e non solo), trent’anni di produzioni che hanno esplosione ed epicentro nei Daft Punk ma si propagano poi in tutta una serie di diramazioni discografiche soliste e laterali altrettanto fondamentali. Una storia che trascende l’iconografia delle maschere robotiche che è stata snodo fondamentale della loro affermazione planetaria. Un percorso che transita nel cuore underground di techno e house e va supernova in un successo interplanetario tra elettronica e pop, costruendo a fianco un personale rinascimento fatto di colonne sonore, arti visuali, musica classica, una regia cinematografica, connessioni con il mondo dell’hip-hop americano.

Christian Zingales, 1972, è nato a Cantù e vive a Como da sempre. Scrive su Blow Up dal 1998 e ha pubblicato diversi libri, “Electronica” (2002), “House Music” (2005), “Italiani brava gente” (2008), “Battiato On The Beach” (2010), “Techno” (2011), “Lucio Battisti - Luci-Oh” (2016), “Prince - The Jamie Starr Scenario” (2018), “Andrea Benedetti Mondo Techno - Christian Zingales Remix” (2018), “Smile - UK 88: The Second Summer Of Love” (2018), “Life on Marsico. Ascesa, caduta, ricadute e risurrezioni di Maurizio «Monofonic Orchestra» Marsico” (2019).


[di seguito l'Introduzione:]

Thomas Bangalter, classe 1975, e Guy-Manuel de Homem-Christo, del 1974, figli della borghesia parigina. Il padre di Thomas è Daniel Bangalter aka Daniel Vangarde, storico produttore disco negli anni ’70 per Gibson Brothers, Ottawan e Sheila And B. Devotion, ebreo, fa prendere al figlio lezioni di piano dall’età di sei anni affiancandogli come maestro un musicista dell’Opera di Parigi. Il piccolo Thomas si avvicina così alla musica, anche se, ammetterà, “non avevo alcuna intenzione di fare la professione di mio padre”. Guy-Manuel nasce a Neuilly-sur-Seine, zona residenziale ad ovest di Parigi. Il suo trisnonno era Francisco Homem Cristo (senza la acca), politico repubblicano e militare portoghese che trovò rifugio in Francia nel 1910 dopo essere stato accusato di aver tradito gli ideali repubblicani per quelli monarchici, insieme a suo figlio, il bisnonno di Guy-Man, Francisco Manuel aka Homem Cristo Filho, poeta e intellettuale che era partito su posizioni anarchiche, infine ripiegato in Italia, nella Roma fascista di Mussolini, del cui regime si era infatuato e che gli organizzò un funerale solenne quando morì trentaseienne per un incidente automobilistico. Guy-Man approccia la musica dopo che i genitori gli regalano a sette anni una chitarra giocattolo, che a quattordici anni rimpiazzerà con una chitarra elettrica. Umani, forse troppo, a giudicare dall’albero genealogico, che però fornisce anche qualche robotica suggestione.
Figli dei ’70, Thomas e Guy-Man assorbono musiche e iconografie e culture pop e nel 1987 si conoscono al Liceo Carnot di Parigi, scoprendo di condividere le stesse passioni sonore e cinematografiche (“culti molto basici da adolescenti, da ‘Easy Rider’ ai Velvet Underground”, ricorderà Bangalter). Nel ’92 insieme a un altro compagno di liceo, il futuro Phoenix Laurent Brancowitz, formano la indie band Darlin’, che, nome in omaggio all’omonimo pezzo dei Beach Boys, pubblicherà un paio di pezzi sulla Duophonic degli Stereolab. Da qui una inaspettata storia musicale (e non solo) che percorreremo in questo libretto, tappa dopo tappa, registrazione dopo registrazione, disco dopo disco, trent’anni di produzioni che ovviamente hanno esplosione ed epicentro nei Daft Punk, ma si propagano poi in tutta una serie di diramazioni discografiche soliste e laterali altrettanto fondamentali. Una storia che trascende sia l’iconografia delle maschere robotiche che è stata snodo fondamentale della loro affermazione planetaria, facendo dei Daft Punk un brand che Janan Ganesh sul Financial Times ha definito “il meglio gestito nella storia del pop” e “una lezione nell’uso della distanza”, sia i quattro diversamente classici album incisi dal duo in sedici anni. Un percorso unico che parte dall’indie rock più carbonaro, transita nel cuore underground di techno e house, va supernova in un successo interplanetario tra elettronica e pop, costruendo a fianco un personale rinascimento fatto di colonne sonore, arti visuali, musica classica, una regia cinematografica, connessioni con il mondo dell’hip-hop americano.
Quella che troverete in queste pagine è l’opera di Thomas Bangalter e Guy-Manuel de Homem-Christo, insieme o separati nei rispettivi percorsi solisti, nelle collaborazioni comuni o personali, con i caschi da robot o quando ancora si mescolavano al mondo a viso scoperto, in stretto ordine cronologico e aggiornata al momento di andare in stampa con i più recenti frutti di un dopo Daft Punk ancora tutto in divenire. Una saga che via via appare così come si è formata, tassello dopo tassello, sorpresa dopo sorpresa, nel respiro degli stessi autori, che avevano una visione molto forte fin dagli esordi ma che quando sono partiti non avrebbero mai immaginato di arrivare a spingersi così in alto. La metamorfosi robotica avviene improvvisamente con “Discovery” nel 2001, il plot sci-fi prevede che il 9-9-99 lo studio di registrazione è saltato in aria e Thomas e Guy-Man sono stati rimpiazzati da due robot. Dopo il sacrificio della carne arriverà anche quello del silicio, il 22 febbraio 2021 verrà annunciata la fine dei Daft Punk con un video tratto da “Electroma”, la regia cinematografica di Thomas e Guy-Man del 2006, con un robot che salta in aria e l’altro che si avvia verso il suo analogo destino. Il processo vitale nella costante dialettica con la morte sullo sfondo del duello dei nostri giorni, quello tra uomo e tecnologia. Bangalter, dopo lo scioglimento, dirà: “Daft Punk è stato un progetto dove abbiamo giocato con realtà e finzione, introducendo a un certo punto i personaggi dei robot. Era importante per noi non anticipare la narrazione mentre tutto accadeva. Ora possiamo dire, se ci fossero ancora dei dubbi, che tutto era centrato su una poetica umana, tutto rispondeva a istanze umane, lontane da qualsiasi algoritmo. Vorremmo essere tutto tranne che dei robot. L’idea è nata essenzialmente come filtro alla nostra timidezza, eravamo questi ragazzi ordinari con dei superpoteri, come i supereroi. La cosa ha avuto un riscontro superiore ad ogni aspettativa ed è diventata nel tempo una sorta di installazione artistica alla Marina Abramovich, che è durata una ventina d’anni. I robot non hanno mai rappresentato un’adesione alla cultura digitale. Piuttosto abbiamo cercato di esprimere con le macchine delle emozioni che le macchine non possono provare. Siamo sempre stati dalla parte dell’umanità, mai da quella della tecnologia”.
Timidi. Thomas asciutto e puntuto, più classicamente in boria francese, è il più tecnico e pragmatico dei due. Guy-Man più rotondo e aereo, con la testa fra le nuvole, è il più deep e sembra uscito da un telefilm americano degli anni ’70. Umani prima di tutto.

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