MC5
Mc5
Autore: Roberto CalabṛPREZZO: 12,00€
MC5. Future/Now
Director's Cut #25 (gennaio 2022) • 116 pagine b/n • 12,00 euro
Tra i gruppi più influenti della storia del rock’n’roll, gli MC5 sono stati esponenti della controcultura a stelle e strisce dei tardi anni Sessanta, portatori di un messaggio rivoluzionario che si ispirava al movimento delle White Panters a cui erano legati a doppio filo. Soprattutto, però, i Cinque della Motor City furono un’incandescente band high energy rock’n’roll che bruciò nello spazio di tre straordinari LP. Questo volume ripercorre per intero la loro storia e quella delle formazioni di culto nate all’indomani dell’implosione del quintetto (Sonic’s Rendezvous Band, New Order, Destroy All Monsters), così come la lunga e fortunata carriera del chitarrista e attivista Wayne Kramer.
Roberto Calabrò (Reggio Calabria, 1971) si occupa di musica e cultura underground dalla fine degli anni '80. Ha collaborato a lungo con Repubblica, il Venerdì, L’Espresso e con molte delle più note testate musicali italiane. All’estero la sua firma appare regolarmente sui mensili Ruta 66 in Spagna e Shindig! nel Regno Unito. Ha pubblicato Queens Of The Stone Age. Il suono del deserto (Arcana, 2004), Eighties Colours. Garage, beat e psichedelia nell'Italia degli anni Ottanta (Coniglio, 2010), Madrid & Barcellona. Guida Rock (Arcana, 2014), Radio Birdman. Il rito del suono selvaggio (Tuttle, 2018), Ramones. Gang of New York (Tuttle, 2020). Ha inoltre curato la revisione editoriale dell’Enciclopedia Rock 1954 – 2004 (Arcana, 2004). Scrive su Blow Up dal 2010.
[di seguito l'Introduzione]
Ci sono band di cui è facile innamorarsi prima ancora di aver ascoltato una sola canzone. Gli MC5 fanno parte di questa speciale categoria di gruppi leggendari di cui da ragazzini era più facile leggere che trovare i dischi. Negli anni Ottanta, assieme agli Stooges e ai New York Dolls, venivano citati a raffica come progenitori del punk (proto-punk, per l’appunto) nelle recensioni delle riviste specializzate e il loro nome spuntava regolarmente fuori nelle interviste di gruppi dall’approccio fortemente chitarristico che li indicavano tra le principali fonti di ispirazione.
Ad accrescerne il fascino era il fatto che i Cinque della Motor City non fossero stati soltanto un’incendiaria band di rock’n’roll, ma anche esponenti di punta di quel movimento controculturale che nella seconda metà degli anni Sessanta cercò di sovvertire lo status quo, in parte riuscendoci, con la musica.
La vicenda di Rob Tyner, Wayne Kramer, Fred “Sonic” Smith, Mike Davis e Dennis “Machine Gun” Thompson è strettamente legata a quegli anni rivoluzionari e, come molte altre avventure artistiche generate dall’energia e dal caos di quei giorni, destinata a bruciare in fretta in un percorso costellato di contraddizioni - l’impegno politico totalizzante contrapposto al legittimo desiderio di fama e successo – ed errori di gioventù, tra cui una buona dose di arroganza, pessimi rapporti con l’industria discografica e, non ultimo, l’abbraccio mortale con le droghe pesanti. Avrebbero potuto essere il più grande gruppo di quegli anni, gli MC5, e per un breve periodo certamente lo furono, prima di implodere e venire risucchiati in una cappa di oblio negli anni Settanta e per buona parte del decennio successivo.
Finalmente, con l’arrivo dei Novanta, il loro lascito musicale e attitudinale è diventato sempre più palese materializzandosi in una serie di gruppi – due nomi a caso: gli svedesi Hellacopters e gli americani BellRays – che non hanno mai mancato di sottolinearne l’influenza e il forte legame in una sorta di ideale passaggio di testimone.
Provenienti da una delle città musicalmente più eccitanti degli Stati Uniti, quella Detroit che nello stesso periodo era anche la capitale dell’industria automobilistica a stelle-e-strisce, gli MC5 rappresentarono la punta di diamante del movimento controculturale che stava scuotendo gli Stati Uniti e che nella metropoli del Michigan trovò uno degli esponenti più brillanti e ispirati nella figura del loro amico-mentore-manager John Sinclair. Quasi per caso Tyner e soci si trovarono a essere incazzati e dalla parte giusta nel momento giusto. Non solo volevano cambiare la società dalle fondamenta, ma con la sfrontatezza dei vent’anni pensavano di trasformare il rock’n’roll mischiandolo alle improvvisazioni del jazz (del resto, adoravano tutti John Coltrane e Sun Ra) e alla libertà espressiva della psichedelia. La testimonianza di un tale approccio è racchiusa nei solchi incandescenti del debutto “Kick Out The Jams”, registrato dal vivo alla Grande Ballroom di Detroit, il loro covo ribollente di energia e rabbia giovanile.
Con il disco successivo, “Back In The USA”, gli MC5 tornarono all’immediatezza del rock’n’roll indicando contemporaneamente la strada per quello che poi è stato poi codificato come power pop. Mentre con il conclusivo e più maturo “High Time” tracciarono il solco per l’high energy rock’n’roll a venire di cui sono giustamente considerati i capostipiti.
Se si esclude il momento di gloria in ambito locale tra il 1967 e il 1969, agli MC5 non arrise mai il successo che pure avrebbero meritato. Ed è un peccato che Rob Tyner e Fred “Sonic” Smith, scomparsi prematuramente nel 1991 e nel 1994, entrambi all’età di 46 anni, non abbiano potuto godere dei riconoscimenti postumi giunti con la reunion degli anni Duemila, quando Wayne Kramer, Mike Davis e Dennis Thompson portarono in giro per il mondo la musica degli MC5, godendo dell’affetto, della stima e del rispetto di musicisti e fan, molti dei quali non erano neppure nati quando i Cinque della Motor City incendiavano gli animi calcando le assi della Grande Ballroom a Detroit.
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