UK Grime
UK Grime
di Sabrina Santoro & Marco Giappichini

[nell'immagine: Little Simz]

“Gli inglesi hanno sempre mostrato una tendenza a prendere la musica nera americana, alterarla e quindi riesportarla in forma elegantemente rinnovata. Blues, R&B, soul, funk, disco: ciascuno di questi generi ha costituito la fonte di una serie di British Invasion nel mainstream pop americano. Eppure, questo talento nostrano per la rielaborazione ha clamorosamente fallito in un’area: l’hip pop”. Apriva così un famoso articolo del 2002 sulle colonne del New York Times intitolato “Chi dice che il rap inglese fa schifo?”. La penna era quella pepata di sua maestà Simon Reynolds, il critico inglese naturalizzato americano più famoso del globo, all’epoca totalmente invaghito dai suoni rap e hip-pop mainstream provenienti dagli Stati Uniti e polemicamente avverso ai derivati british, rei per lui di non essersi mai affrancati del tutto dai modelli di riferimento e, soprattutto, colpevoli di non essere mai riusciti a sfondare commercialmente a livello internazionale. A dirla tutta Reynolds, che dimostra ancora una volta la propria lungimiranza, si stava rendendo conto che, all’inizio del nuovo millennio, un interessantissimo movimento hip-pop stava finalmente emergendo dal sottobosco indie inglese, con delle sonorità fortementi personali, ma dal punto di vista commerciale la situazione economica di chi faceva parte di quel mondo rimaneva disastrosa: “Nel rap inglese non sono molti gli MC che fanno solo gli MC e niente altro!” commentava all’epoca Kano, oggi una star di quello che poi fu ribattezzato “grime” (ci arriviamo con calma). Insomma, dopo una ventina e passa di anni dalla sua nascita, il rap in Inghilterra, terra famosa per rilanciare generi e mode provenienti da oltreoceano, ancora arrancava a prendere una propria forma pronta per l’Export. […]

…segue per 12 pagine nel numero 288 di Blow Up, in edicola a maggio 2022

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