Tutta la bellezza e il dolore
Tutta la bellezza e il dolore
di Alberto Pezzotta
Tutta la bellezza e il dolore – All the Beauty and the Bloodshed di Laura Poitras ha vinto il Leone d’oro al festival di Venezia 2022 ed è uscito in sala per pochi giorni come “film evento”. Già su questi dati si potrebbe scrivere un pezzo. Da troppo tempo i premi dei festival spesso sono indicativi solo dei compromessi raggiunti da giurie eterogenee e mal assortite attorno a un gusto medio e, va da sé, politicamente corretto, che nulla c’entra con lo stato dell’arte cinematografica. Nel caso del film di Laura Poitras non si è voluto neanche premiare un maestro conclamato (come è successo con Nicolas Philibert, Orso d’oro a Berlino 2023 con Sur l’Adamant), ma una regista che racconta la storia di Nan Goldin, una fotografa e artista controversa che, negli ultimi anni, si è fatta paladina di una crociata contro una potente industria farmaceutica (e c’è un’indubbia soddisfazione nell’avere inconfutabili motivi per dare addosso a una Big Pharma – lasciando implicitamente libertà di generalizzazione…). È evidente che a contare, a essere premiato, è stato innanzitutto il contenuto. Certo, la forma, o meglio la confezione, mica è da buttare via: ma è quella standardizzata di un prodotto altamente professionale da piattaforma o da canale satellitare (in questo caso c’è di mezzo l’HBO). Si vedono tutti soldi che sono stati spesi (basti pensare ai diritti che devono essere stati sborsati per l’uso dei brani musicali in colonna sonora, da Sunday Morning a I Put a Spell on You… ci sono registi che con quei soldi avrebbero fatto un film intero). E il montaggio evita qualunque rischio di assopimento. Bene, che c’entra tutto ciò con l’arte, e con l’arte del documentario in particolare? Per usare un eufemismo, ho molti dubbi nei confronti del cinema di Gianfranco Rosi (Leone d’oro a Venezia nel 2013 con Sacro GRA, Orso d’oro a Berlino nel 2016 con Fuocammare) – ma almeno i suoi sono film. Quello di Poitras (che nel curriculum ha documentari su Snowden e su Assange), invece, è un prodotto audiovisivo. Impegnato, civile, tutto quello che volete, ma non è cinema. Il fatto poi che venga proposto in sala dal distributore italiano come film-evento a tenitura limitata, è solo una strategia che nasconde la crisi sotto una griffe. È solo un modo per massimizzare i profitti concentrando la programmazione, senza rischiare le sale vuote che sarebbero inevitabili in caso di teniture più prolungate. E poi, quando leggo “film-evento”, penso sempre ai ravioli di Giovanni Rana “in edizione limitata” (castagne e zucca, per esempio) che si trovano al supermercato. […]
…segue per 2 pagine nel numero 299 di Blow Up, in edicola a aprile 2023
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Ogni mese Blow Up propone monografie, interviste, articoli, indagini e riflessioni su dischi, libri, film, musicisti, autori letterari e cinematografici scritti dalle migliori penne della critica italiana.
Tutta la bellezza e il dolore – All the Beauty and the Bloodshed di Laura Poitras ha vinto il Leone d’oro al festival di Venezia 2022 ed è uscito in sala per pochi giorni come “film evento”. Già su questi dati si potrebbe scrivere un pezzo. Da troppo tempo i premi dei festival spesso sono indicativi solo dei compromessi raggiunti da giurie eterogenee e mal assortite attorno a un gusto medio e, va da sé, politicamente corretto, che nulla c’entra con lo stato dell’arte cinematografica. Nel caso del film di Laura Poitras non si è voluto neanche premiare un maestro conclamato (come è successo con Nicolas Philibert, Orso d’oro a Berlino 2023 con Sur l’Adamant), ma una regista che racconta la storia di Nan Goldin, una fotografa e artista controversa che, negli ultimi anni, si è fatta paladina di una crociata contro una potente industria farmaceutica (e c’è un’indubbia soddisfazione nell’avere inconfutabili motivi per dare addosso a una Big Pharma – lasciando implicitamente libertà di generalizzazione…). È evidente che a contare, a essere premiato, è stato innanzitutto il contenuto. Certo, la forma, o meglio la confezione, mica è da buttare via: ma è quella standardizzata di un prodotto altamente professionale da piattaforma o da canale satellitare (in questo caso c’è di mezzo l’HBO). Si vedono tutti soldi che sono stati spesi (basti pensare ai diritti che devono essere stati sborsati per l’uso dei brani musicali in colonna sonora, da Sunday Morning a I Put a Spell on You… ci sono registi che con quei soldi avrebbero fatto un film intero). E il montaggio evita qualunque rischio di assopimento. Bene, che c’entra tutto ciò con l’arte, e con l’arte del documentario in particolare? Per usare un eufemismo, ho molti dubbi nei confronti del cinema di Gianfranco Rosi (Leone d’oro a Venezia nel 2013 con Sacro GRA, Orso d’oro a Berlino nel 2016 con Fuocammare) – ma almeno i suoi sono film. Quello di Poitras (che nel curriculum ha documentari su Snowden e su Assange), invece, è un prodotto audiovisivo. Impegnato, civile, tutto quello che volete, ma non è cinema. Il fatto poi che venga proposto in sala dal distributore italiano come film-evento a tenitura limitata, è solo una strategia che nasconde la crisi sotto una griffe. È solo un modo per massimizzare i profitti concentrando la programmazione, senza rischiare le sale vuote che sarebbero inevitabili in caso di teniture più prolungate. E poi, quando leggo “film-evento”, penso sempre ai ravioli di Giovanni Rana “in edizione limitata” (castagne e zucca, per esempio) che si trovano al supermercato. […]
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TUTTLE Edizioni - P.iva 01637420512 - iscrizione rea n. 127533 del 14 Gennaio 2000