Throwing Muses
Throwing Muses
di Stefano I. Bianchi
KRISTIN Hersh soffre di disturbo bipolare, una patologia mentale caratterizzata da violenti sbalzi d’umore con l’alternarsi di opposte fasi ossessivo-maniacali: grandi e immotivate eccitazioni e forti crisi depressive. È una malattia che negli ultimi anni è diventata vagamente trendy perché ‘artistica’ ma che in realtà lascia ben poco spazio al glamour, dato che si definisce, ancor più della depressione vera e propria, come un disturbo dalla diagnosi infida e sfuggente e dalla terapia molto difficile da gestire senza diventare dipendenti cronici di medicine dagli effetti spesso più imprevedibili della malattia stessa. A farla breve Kristin Hersh, che sorride sempre ed è estremamente gentile con giornalisti e fan, ha una mente instabile e, da grandissima artista ed essere umano qual è, non l’ha mai nascosto, anzi ha trovato nell’esposizione delle sue difficoltà personali l’esorcismo dall’intera esistenza.
Averlo saputo nell’86, quando uscì l’omonimo primo album della sua band, i Throwing Muses, avremmo faticato meno a cercare una spiegazione per una musica tanto difforme rispetto a quella coeva. Appariva per l’appunto letteralmente disturbata, e non lo dico col facile senno di poi: capricciosa e umorale, tutta scatti e nervi anche quando le canzoni prendevano le forme di un folk dalle apparenze delicate e soffuse, vagamente allucinata e inquietante anche se sempre solidamente ancorata alla dimensione ‘canzone’.
In quel periodo, la seconda metà degli anni ’80, la musica underground era in un momento di passaggio: l’onda lunga del post-punk si era spiaggiata da anni, la darkwave era tornata nel suo loculo, i plurimi neo-sixties neo-psichedelici avevano già dato il meglio di sé, l’hardcore si stava trasformando in ‘evoluto’, il noise era un’idea che produceva già capolavori ma per pochi, il grunge e il crossover si scaldavano a bordo campo. In generale per le musiche di derivazione ‘rock’ lo spazio di movimento fuori dal mainstream si stava ridefinendo dopo la campagna acquisti fatta dalle major (Husker Du, Sonic Youth, R.E.M.) e con l’hip hop che stava esplodendo rivelandosi la musica più fresca e innovativa dai tempi della new wave: peccato però che vendesse dischi a pacchi, uscisse per etichette potenti e avesse una distribuzione capillare, per cui non lo si poteva considerare esattamente alternative e men che meno underground. […]
…segue per 16 pagine nel numero 322 di Blow Up, marzo 2025
• Se non lo trovate in edicola potete ordinarlo direttamente dal nostro sito (BU#322) al costo di 12 euro (spese postali incluse) e vi verrà spedito immediatamente come ‘piego di libri’ (chi desidera una spedizione rapida ci contatti via email).
• Il modo migliore, più rapido, sicuro ed economico per avere Blow Up è l’abbonamento: non perderete neanche uno dei numeri pubblicati perché in caso di eccessivo ritardo o smarrimento postale vi faremo una seconda spedizione e riceverete a casa i quattro libri della collana trimestrale Director’s Cut il mese stesso della loro uscita per un risparmio complessivo di 60 euro!
Ogni mese Blow Up propone monografie, interviste, articoli, indagini e riflessioni su dischi, libri, film, musicisti, autori letterari e cinematografici scritti dalle migliori penne della critica italiana.
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Averlo saputo nell’86, quando uscì l’omonimo primo album della sua band, i Throwing Muses, avremmo faticato meno a cercare una spiegazione per una musica tanto difforme rispetto a quella coeva. Appariva per l’appunto letteralmente disturbata, e non lo dico col facile senno di poi: capricciosa e umorale, tutta scatti e nervi anche quando le canzoni prendevano le forme di un folk dalle apparenze delicate e soffuse, vagamente allucinata e inquietante anche se sempre solidamente ancorata alla dimensione ‘canzone’.
In quel periodo, la seconda metà degli anni ’80, la musica underground era in un momento di passaggio: l’onda lunga del post-punk si era spiaggiata da anni, la darkwave era tornata nel suo loculo, i plurimi neo-sixties neo-psichedelici avevano già dato il meglio di sé, l’hardcore si stava trasformando in ‘evoluto’, il noise era un’idea che produceva già capolavori ma per pochi, il grunge e il crossover si scaldavano a bordo campo. In generale per le musiche di derivazione ‘rock’ lo spazio di movimento fuori dal mainstream si stava ridefinendo dopo la campagna acquisti fatta dalle major (Husker Du, Sonic Youth, R.E.M.) e con l’hip hop che stava esplodendo rivelandosi la musica più fresca e innovativa dai tempi della new wave: peccato però che vendesse dischi a pacchi, uscisse per etichette potenti e avesse una distribuzione capillare, per cui non lo si poteva considerare esattamente alternative e men che meno underground. […]
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TUTTLE Edizioni - P.iva 01637420512 - iscrizione rea n. 127533 del 14 Gennaio 2000