Thomas Picketty
Thomas Picketty
di Fabio Donalisio

Dev’essere successo qualcosa di strano, ma parecchio, al meccanismo di coagulazione della notorietà, se possiamo ritrovare tra i bestseller un saggio storico sullo statuto del capitalismo di oltre mille pagine, per di più strillante in copertina le parole proibite “capitale” e “ideologia”, con tanto di foto dell’autore in quarta a tutta pagina, manco fosse Ken Follett. Aggiungiamo la fascetta che proclama, indomita: “ogni società ha bisogno di giustificare le proprie disuguaglianze”, e lo stupore potrà dirsi completo. E pensare che si tratta, pure, di un sequel: stesso formato e stessa grafica del precedente Il capitale nel XXI secolo, con cui Thomas Piketty si era imposto all’attenzione e (pseudo)discussione qualche anno fa. Ammettiamo pure che possa trattarsi di uno di quei decori da scaffale – come la Recherche o l’Ulisse, o che so, Horcynus Orca, Gli increati o quella menata dell’autobiografia di Knausgård; o magari, in altri tempi, un altro Capitale; in scaffali di minor pregio, l’opera omnia di Pansa, o l’irrefrenabile voglia di fascismo che trasuda dalla glossolalia di Bruno Vespa – che magari fanno girare una micragna di economia, ma le cui parole più che talvolta non vengono sublimate tramite il processo neurobiologico della lettura; fatto sta che rappresenta una stranezza che forse vale la pena di non trascurare. E fu così che, complice la segregazione (e forse anche per sfuggire – in un altrove linguistico capiente abbastanza da eliminare il rumore di fondo – alle ignominiose e stordenti deformazioni della neolingua totalizzante del nuovo ordine mondiale... pardon, del coviddi), decidemmo – e la decisione merita la grandiosità del passato remoto – di infliggerci la lunga permanenza nella storia dell’evidente refrattarietà delle comunità umane ad applicare qualche elementare principio di equità. Ma andiamo con ordine. […]

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