The Bevis Frond
The Bevis Frond
di Roberto Curti

[nell’immagine: Nick Saloman]

Le prime tracce dell’esistenza del mammifero altresì conosciuto come Nick Saloman sono localizzate nella zona di St. John’s Wood, nel nord-ovest di Londra. Fin da subito, il piccolo Nick manifesta un’attrazione, comune alla sua specie e in particolar modo agli esemplari di stanza nella medesima area geografica (a due passi c’è Abbey Road), per quell’insieme di sonorità caratterizzate da forme melodiche grezze e ripetitive comunemente chiamate “musica rock”. A cinque anni inizia a suonare il piano, a sette la chitarra. Ma a dare un giro di volta decisivo alla sua maturazione creativa è la sovraesposizione alle delizie musicali della Swingin’ London. «C’era musica ovunque. Stava accadendo di tutto, un sacco di colore in giro. E io ero lì al momento giusto.» Leggete e rosicate. «Mia madre era una consumatrice di musica, dagli ottimi gusti, e mi portava con lei ai concerti. Uno dei miei ricordi più belli è quando come regalo di Natale, a dieci anni, mi portò a vedere i Beatles all’Hammersmith Odeon. Mi portò anche a vedere Cliff and the Shadows e cose del genere. Il primo spettacolo a cui andai per conto mio, quando avevo 13 anni, è stato quello degli Stones e degli Yardbirds alla Albert Hall nel '66, che fu fantastico. C’erano gli Stones, gli Yardbirds e Ike e Tina Turner... e pure Peter Jay and the Jaywalkers. Per due o tre anni mi feci almeno due concerti alla settimana. Ricordo che una volta bazzicai il Marquee per una settimana di fila, ogni sera. E quando avevo 17 anni, andai al Festival dell’Isola di Wight.»
Si capisce dunque come il giovane Saloman abbia ricevuto un fortissimo imprinting musicale, tale da far nascere l’irresistibile impulso all’emulazione: e se la sua musica sarà sempre legata a doppio filo ai tardi Sixties, anche i testi torneranno spesso a rievocare quell’età dell’oro (On A Liquid Wheel), a meditare sulla difficoltà dell’accettazione della sua prematura fine (Right On (Hippie Dream), Stars Burn Out) e a tratteggiare con simpatia i reduci di quel periodo irripetibile (Portobello Man). Il tutto calato all’interno di una realtà territoriale specifica – quella Londra in cui Nick è cresciuto e che conosce come le sue tasche, e che vede cambiare fin troppo velocemente e radicalmente – e caratterizzato dall’orgoglioso sfoggio della propria identità britannica. «Sono un po’ un nerd. Mi piace la mia storia. Mi piace essere inglese e mi piace molto Londra, ma la cosa principale è che uno dei miei spauracchi nella musica pop, dagli anni '60 in poi, era quando un gruppo inglese cantava di “guidare un camion sull’autostrada verso Memphis per incontrare la mia ragazza”, o qualcosa del genere. E pensavo, “Maddai, cazzo, venite da Baldock [paesino dell’Hertfordshire, NdA]! Di cosa state parlando? Non state “guidando verso Memphis”, non sapreste nemmeno come fare!”» […]

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