Synthpunk 1
Synthpunk 1
di Federico Guglielmi

“LA MUSICA elettronica esiste da molto, ma solo di recente è diventata accessibile alle masse. Oggi quasi chiunque può suonare un sintetizzatore, ma ai vecchi tempi erano oggetti misteriosi; per utilizzarli, più che un musicista, dovevi essere un tecnico elettronico. Ora, però, troppi sfruttano i synth in modo limitato, perché non sono consapevoli delle loro potenzialità di andare oltre quelle che gli strumenti convenzionali hanno affermato come regole”. (Tommy Gear, Screamers)

“Per un po’ i sintetizzatori erano stati congegni enormi, introvabili e costosi, ma all’improvviso, con l’ARP Odyssey e il Minimoog, sembravano alla portata dei semplici mortali. Inoltre, sul finire dei ’70, gli studi di registrazione di musica dance stavano iniziando a chiudere, chissà se per la morte della disco o l’ascesa della cocaina, e sul mercato si trovavano a prezzi bassi synth appartenuti a studi falliti. Il concetto mutuato dal punk dei non-musicisti che salgono sul palco e l’idea molto allettante di uno strumento in grado di produrre rumore ultraterreno spingendo pulsanti e girando manopole hanno fatto il resto”. (Nervous Gender)

Benché sia plausibile che qualcuno l’abbia adoperato prima, se non addirittura in tempo reale, il termine synthpunk è ufficialmente l’invenzione di un poliedrico appassionato americano, Damian Ramsey, morto giovanissimo nel 2007. Fu lui a lanciarlo sul Web, nel 1999, per classificare quelle band che a cavallo tra ’70 e ’80 proponevano rock rabbioso, spigoloso e disturbante - in estrema sintesi, punk - facendo uso di quei sintetizzatori che all’epoca stavano avendo una diffusione via via maggiore in ambito musicale. Nulla a che vedere con quanto sarebbe accaduto a partire dal 1983 con la commercializzazione del rivoluzionario DX7 della Yamaha (il primo synth economico: 1995 dollari), quando gli strumenti elettronici divennero abbordabili per chiunque, ma di sicuro le tastiere tecnologicamente (sempre più) evolute avevano smesso di essere considerate macchine extraterrestri - come accadeva nei Sixties, il decennio in cui iniziarono a essere adottate nel “pop” - o apparecchi “impegnativi” riservati solo ad artisti colti/d’avanguardia o aspiranti tali. Nella seconda metà dei Seventies in tanti si avvicinarono ai sintetizzatori senza timori reverenziali, con il medesimo spirito di coloro che imbracciavano chitarre e bassi o si sedevano davanti a una batteria lasciandosi guidare dall’istinto, dall’urgenza di comunicare le proprie sensazioni/intuizioni, dalla voglia di scoprire cosa sarebbe successo, dall’ambizione di vestire i panni degli “eroi” fosse pure solo per un giorno. […]

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