di Piercarlo Poggio

L’età di una signora non si dice. È un’aurea regola applicabile, a maggior ragione, a un’artista che continua ad affrontare nel miglior modo possibile il vertiginoso trascorrere degli anni. Nel 2020 Susana Baca aveva messo a frutto la clausura caricando sulle piattaforme digitali “A Capella”, esplicitamente sottotitolato grabado en casa durante la cuarantena, raccolta di interpretazioni in solitaria proveniente dalla sua dimora di Santa Bárbara, situata nella provincia di Cañete, Perú. Un’infilata di brani, diciassette, in gran parte già in repertorio, un intreccio di canzoni e poesie scelte rovistando tra i ricordi, nell’ambito di quegli autori latinoamericani che da sempre la emozionano. Dall’argentino Fito Páez (Yo vengo a ofrecer mi corazón) alla cilena Violeta Parra e alla celebre Gracias a la vida, a scorrere sono testi di forte presa, sospesi tra lirismo e senso della realtà: Cardo o cenizas e Rosas y azar di Chabuca Granda, l’immortale Tonada de luna llena di Simón Díaz, il García Lorca di El lagarto está llorando, e ancora Duerme negrita (Eliseo Grenet) e quella sorta di inno non ufficiale che è diventato Contigo Perú, non a caso composto da Augusto Polo Campos per accompagnare le gesta della nazionale di calcio ai mondiali in Germania (1974) e Argentina (1978). A sentire l’autrice, “A Capella” nasceva con l’intento di mitigare il dolore, la morte e l’ansia causati dalla pandemia, anche perché cantare per gli altri le consentiva di scacciare la tristezza e l’impotenza che albergavano in lei stessa. Poi, nell’autunno scorso è giunto un nuovo disco in carne e ossa, nato non dall’occasione e dal vuoto bensì frutto di un’idea precisa e calcolata: “Palabras urgentes”, realizzato per la Real World. […]

…segue per 6 pagine nel numero 286 di Blow Up, in edicola a marzo 2022

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