Susan Sontag
Susan Sontag
di Maurizio Bianchini

Traggo il passaggio che segue da “Un approccio ad Artaud” di Susan Sontag, uscito sul New Yorker nel 1973 e presente nella ristampa benemerita di Sotto il segno di Saturno da parte di Nottetempo: “Un movimento teso alla ‘destituzione dell’autore’ è in atto ormai da più di cento anni. Fin dall’inizio, l’impeto che l’ha animato è stato – e resta – apocalittico: innescato dalle recriminazioni e dalle esultanze suscitate dal convulso decadimento degli antichi ordini sociali, e alimentato da quell’universale sensazione di vivere un momento rivoluzionario che continua a galvanizzare gran parte delle élite morali e intellettuali… L’attacco sferrato contro l’autore prosegue vigoroso, anche se la rivoluzione non c’è stata o, là dove è avvenuta, ha prontamente soffocato il Modernismo letterario. Nei paesi non riplasmati da una rivoluzione il Modernismo, anziché sovvertire la cultura letteraria alta, ne è gradualmente divenuto la tradizione dominante e continua a elaborare codici che, pur temporeggiando con le nuove energie morali, mirano a preservarle… La longevità del Modernismo mostra, piuttosto, ciò che accade quando si rinvia la preconizzata risoluzione di gravi inquietudini sociali e psicologiche – e rivela quali insospettate capacità di ingegno, di sofferenza e di addomesticamento della sofferenza possono nel frattempo fiorire.”
La lunga citazione aiuta a mostrare, 50 anni dopo la sua uscita, l’attualità di un testo che ha bisogno solo di qualche inevitabile precisazione, e di una sorta di capovolgimento, per parlare ancora al nostro tempo. La Sontag, che ha il dono di mostrare la storia a volo d’uccello, fa giustamente risalire a quel salto nel vuoto della cultura occidentale rappresentato dal pensiero di Nietzsche, l’origine del movimento apocalittico chiamato Modernismo, in cui si pongono le basi della laicizzazione integrale della società, col passaggio all’uomo di tutte le prerogative appartenute fino ad allora a Dio. Ma quanto in Sontag dà l’impressione del sommovimento interno di un sistema ancora saldo nei suoi parametri, viene in realtà da un sistema che si sta sfaldando, investito dalla “trasvalutazione dei valori” annunciata da Nietzsche. Una mutazione sistemica, per quanto poi le epoche impieghino tempo per collassare, come anche per costituirsi in entità complete e definite, il che le costringe a convivere, di modo che il mondo al tramonto non avverte che in maniera vaga, come crisi temporanea, la morte che lo sta corrodendo, mentre quello destinato a sostituirlo non ha preso coscienza piena di sé e del suo ruolo. Per ciò gli araldi del nuovo, i Baudelaire, i Rimbaud, i Dostoevskij si levano come voci profetiche: perché non annunciano una rivoluzione interna (mancata), ma una fine ed un inizio – la fine del regno di Dio e l’inizio del regno dell’Uomo; un cambiamento di parametri epocale; un mondo nuovo più di quanto lo si riesca a percepire. Si dovrebbe stabilire una nuova scansione del tempo a partire dalla Rivoluzione francese, come si è fatto con l’a.C e il d.C dalla nascita di Gesù: un a.U e d.U – prima e dopo l’Uomo. Il romanzo moderno scandisce questa traiettoria per intero: borghese per nascita (Richardson, Defoe,) e poi illuminista (Diderot), romantico (Goethe), introspettivo (Stendhal), realista (Balzac, Dickens), formalista (Flaubert) e naturalista (Zola), fino ad impattare, nel Novecento, con lo sperimentalismo antiborghese (Woolf, Stein, Joyce) che chiude il cerchio di un mondo senza più certezze e destinato, più che all’eterno ritorno, all’eterna ripetizione e forse ad una rapida estinzione. Il regno dell’uomo è il regno del (super)uomo, dispotiche o democratiche che ne siano le pezze d’appoggio ideologiche. Ciò che rende la nostra epoca ostile e impalpabile, tenebrosa ed inspiegabile (perché 8 miliardi di persone si rendono schiave di qualche centinaio di despoti?), indefinibile e innominabile in ultima istanza. […]

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