Stephen Markley
Stephen Markley
di Maurizio Bianchini
Il Grande Romanzo Americano. Da giovane mi precipitavo in libreria – non era facile, la più vicina distava 50 km – per comprare qualunque libro fosse accompagnato da quelle magiche parole di presentazione. E non una sola copia, ma due almeno. Una per me e l’altra per la ragazza di cui, per dirla con Philip Roth, speravo di fare la mia concubina, con qualcosa di meno caro e più formativo d’un capo di abbigliamento o di un oggetto di bigiotteria. Le volte in cui ho trovato ciò che cercavo si contano sulle dita di una mano sola. Molti libri erano promessi come Grandi Romanzi Americani, ma si esagerava, come quando, nell’età del rock, si gridava, un mese sì e l’altro pure, al nuovo Dylan e ai nuovi Rolling Stones. Io l’ho trovato ne Le regole della casa del sidro di John Irving, Meridiano di sangue di McCarthy e la saga di Coniglio di Updike (L’Arcobaleno della Gravità di Pynchon andava oltre, un’astranove finita sulla Quinta Strada di Manhattan. Io per primo ero consapevole che nessuna donna si sarebbe fatta mettere le mani addosso dopo aver provato a leggerlo). Ma neppure quelle che avevano letto gli altri erano corse a cercarmi con niente addosso sotto il cappotto. Le donne hanno valori più solidi dei maschi, sosteneva il vecchio Marlowe: preferiscono le gioie degli orefici a quelle della lettura. Ma intanto si era entrati nei favolosi anni ’90, l’estate di San Martino del Grande Romanzo Americano. Erano usciti American Psycho di Ellis, perso a un passo dal traguardo, e Infinite Jest proiettato oltre, nella foga (e non si è capito ancora diretto dove…). Ma Underworld di De Lillo, il Teatro di Sabbath e la Trilogia della maturità di Roth lo erano, come Cavalier & Clay di Chabon e Le Correzioni di Franzen. Dopo di allora si innalza la media qualitativa, ma latita lo scatto di reni, il libro che si staglia sugli altri senza se e senza ma. Safran Foer, la Egan, o Haruf non vanno oltre il catalogo di sperimentate pictures of America e non è con le loro opere che il ‘paese della opportunità’ può sgravarsi del futuro incerto che porta in grembo. Le Torri Gemelle aleggiano su tutto – più materia di tanti racconti patetici che levatrici di ‘grandi storie’ in grado, come Le Correzioni o Pastorale Americana, di mettere l’America a tu per tu col suo declino. […]
…segue per 4 pagine nel numero doppio 266/267 di Blow Up, in edicola a luglio e agosto 2020
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Ogni mese Blow Up propone monografie, interviste, articoli, indagini e riflessioni su dischi, libri, film, musicisti, autori letterari e cinematografici scritti dalle migliori penne della critica italiana.
Il Grande Romanzo Americano. Da giovane mi precipitavo in libreria – non era facile, la più vicina distava 50 km – per comprare qualunque libro fosse accompagnato da quelle magiche parole di presentazione. E non una sola copia, ma due almeno. Una per me e l’altra per la ragazza di cui, per dirla con Philip Roth, speravo di fare la mia concubina, con qualcosa di meno caro e più formativo d’un capo di abbigliamento o di un oggetto di bigiotteria. Le volte in cui ho trovato ciò che cercavo si contano sulle dita di una mano sola. Molti libri erano promessi come Grandi Romanzi Americani, ma si esagerava, come quando, nell’età del rock, si gridava, un mese sì e l’altro pure, al nuovo Dylan e ai nuovi Rolling Stones. Io l’ho trovato ne Le regole della casa del sidro di John Irving, Meridiano di sangue di McCarthy e la saga di Coniglio di Updike (L’Arcobaleno della Gravità di Pynchon andava oltre, un’astranove finita sulla Quinta Strada di Manhattan. Io per primo ero consapevole che nessuna donna si sarebbe fatta mettere le mani addosso dopo aver provato a leggerlo). Ma neppure quelle che avevano letto gli altri erano corse a cercarmi con niente addosso sotto il cappotto. Le donne hanno valori più solidi dei maschi, sosteneva il vecchio Marlowe: preferiscono le gioie degli orefici a quelle della lettura. Ma intanto si era entrati nei favolosi anni ’90, l’estate di San Martino del Grande Romanzo Americano. Erano usciti American Psycho di Ellis, perso a un passo dal traguardo, e Infinite Jest proiettato oltre, nella foga (e non si è capito ancora diretto dove…). Ma Underworld di De Lillo, il Teatro di Sabbath e la Trilogia della maturità di Roth lo erano, come Cavalier & Clay di Chabon e Le Correzioni di Franzen. Dopo di allora si innalza la media qualitativa, ma latita lo scatto di reni, il libro che si staglia sugli altri senza se e senza ma. Safran Foer, la Egan, o Haruf non vanno oltre il catalogo di sperimentate pictures of America e non è con le loro opere che il ‘paese della opportunità’ può sgravarsi del futuro incerto che porta in grembo. Le Torri Gemelle aleggiano su tutto – più materia di tanti racconti patetici che levatrici di ‘grandi storie’ in grado, come Le Correzioni o Pastorale Americana, di mettere l’America a tu per tu col suo declino. […]
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TUTTLE Edizioni - P.iva 01637420512 - iscrizione rea n. 127533 del 14 Gennaio 2000