NON È FACILE scrivere oggi di Stephen King. Un po’ perché sembra che sia già stato scritto tutto. E anche perché c’è la sensazione diffusa – che traspare anche dalle pagine di questa rivista – che tutto sommato non ne valga la pena. Si fa sempre molto presto a elencare i più grandi scrittori del secolo scorso (o almeno della seconda metà del secolo scorso), citando quella nobile fonte o quell’altra, ma guarda caso King non è mai presente. Credo che su di lui continui purtroppo ad aleggiare il pregiudizio del genere: e siccome il fanta-horror narrativo non ha mai acquistato nell’opinione generale lo stesso peso del noir, giusto per fare un esempio (nel cinema per fortuna le cose stanno diversamente), i giochi sono bell’e che fatti. Cioè, vanno bene Poe e Lovecraft, e tutt’al più Ray Bradbury e Richard Matheson, ma, oltre il recinto del parco-divertimenti degli appassionati, autori come Ramsey Campbell, Jack Finney e Ira Levin sono ancora percepiti come esponenti di un immaginario di serie B, magari pregiato, però pur sempre sul podio di bronzo (l’argento bisogna sudarselo). A poco è servita l’appendice di Danse macabre con la quale King ha stilato un centinaio di libri che l’hanno influenzato: c’è di tutto, da Shirley Jackson a Ballard a – udite udite – Philip Roth, eppure sono convinto che l’impressione comune, a leggerla anche oggi, sarebbe quella di una lista tutta interna, vagamente fanzinara, decisamente ombelicale.
Uno dei motivi per cui mi sono sempre trovato bene fra le braccia kinghiane è proprio questo genere reietto, che ho frequentato e studiato con persistenza talvolta irresponsabile. Però c’è di più. Non l’ho mai abbandonato, Stephen King, neanche quando sembrava si dovesse arenare su un’isola arida (suppergiù ai tempi di Rose Madder). Col senno di poi, mi ritengo fortunato. […]

…segue per 14 pagine nel numero 192 di Blow Up, in edicola a Maggio 2014 al costo di 6 euro

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