Speciale distopie
Speciale distopie
di Roberto Curti [con interventi di Massimiliano Spanu, Roy Menarini e Tommaso La Selva]
STIAMO BENISSIMO GRAZIE PREGO
Distopie e fantascienza
di Roberto Curti
QUANDO gli veniva chiesto cosa fosse la fantascienza, a Hugo Gernsback – che della science fiction fu il padre fondatore presso il grande pubblico, con il romanzo Ralph 124C41+ e soprattutto la rivista “Amazing Stories” – piaceva esibirsi in una performance mimica di grande effetto. Allargava le braccia fin quanto poteva: «Questa è la letteratura». E poi le richiudeva fino a racchiudere tra i palmi delle mani uno spazio esiguo: «Ecco. Questa è la letteratura realistica. Tutto il resto è fantascienza».
Bene. E le distopie, dove rientrano, in questo arco pressoché illimitato? Se oggigiorno è d’uso pensare alla distopia – in forma di racconto, romanzo, film, graphic novel – come branca della fantascienza, in realtà le cose non sono così nitide. Potremmo accettare 1984 come science fiction? E Il mondo nuovo di Huxley? Scienza, pochina; fanta, in apparenza sì: molto meno se, nel caso di Orwell, invertiamo le ultime due cifre del titolo, e pensiamo che il suo romanzo si svolge nel futuro ma parla dell’oggi, ossia di ieri, la Russia stalinista appena camuffata da una patina tecnologica. Anche gli addetti ai lavori sono perplessi. Isaac Asimov, in un saggio del 1953 apparso su “Modern Science Fiction”, si rifiutava – come dargli torto? – di considerare le satire sociali di More e Swift come fantascienza ante litteram, in quanto «del tutto prive di quella connotazione di “realtà potenziali” che è indispensabile ad una narrativa autenticamente fantascientifica». Eppure proprio l’espressione “realtà potenziali” ci complica la vita.
Un passo indietro. Cerchiamo innanzitutto di definire “distopia”. Come il gatto di Schroedinger, che c’è e non c’è, il concetto è di quelli che sgusciano, si ribellano, e che non sei mai sicuro di avere chiuso nella scatola senza dimenticare qualcosa. Partendo dall’etimo greco, distopia è l’opposto di un’utopia, dunque un luogo – per esteso, una società – indesiderabile. Una società immaginaria, che però veicola concetti e idee che fanno riferimento alla (o a una) società attuale, ne criticano e portano all’estremo alcuni elementi, indicandone le possibili derive negative. […]
…segue per 14 pagine nel numero 186 di Blow Up, in edicola a Novembre 2013 al costo di 6 euro
• Se non lo trovate in edicola potete ordinarlo direttamente dal nostro sito (BU#186) al costo di 10 euro - spese postali incluse - e vi verrà spedito immediatamente via posta prioritaria. Se lo richiedete dopo il mese di riferimento dell’uscita vi verrà spedito, come ogni altro arretrato, con il primo invio mensile di abbonamenti e arretrati.
• Il modo migliore, più rapido, sicuro ed economico per avere Blow Up è l’abbonamento: risparmiate minimo 16 euro sul prezzo di copertina e avete la certezza di non perdere neanche uno dei numeri pubblicati garantendovi tutti gli eventuali allegati e i numeri speciali; in caso di eccessivo ritardo o smarrimento postale ve lo spediremo di nuovo.
Ogni mese Blow Up propone monografie, interviste, articoli, indagini e riflessioni su dischi, libri, film, musicisti, autori letterari e cinematografici scritti dalle migliori penne della critica italiana.
Distopie e fantascienza
di Roberto Curti
QUANDO gli veniva chiesto cosa fosse la fantascienza, a Hugo Gernsback – che della science fiction fu il padre fondatore presso il grande pubblico, con il romanzo Ralph 124C41+ e soprattutto la rivista “Amazing Stories” – piaceva esibirsi in una performance mimica di grande effetto. Allargava le braccia fin quanto poteva: «Questa è la letteratura». E poi le richiudeva fino a racchiudere tra i palmi delle mani uno spazio esiguo: «Ecco. Questa è la letteratura realistica. Tutto il resto è fantascienza».
Bene. E le distopie, dove rientrano, in questo arco pressoché illimitato? Se oggigiorno è d’uso pensare alla distopia – in forma di racconto, romanzo, film, graphic novel – come branca della fantascienza, in realtà le cose non sono così nitide. Potremmo accettare 1984 come science fiction? E Il mondo nuovo di Huxley? Scienza, pochina; fanta, in apparenza sì: molto meno se, nel caso di Orwell, invertiamo le ultime due cifre del titolo, e pensiamo che il suo romanzo si svolge nel futuro ma parla dell’oggi, ossia di ieri, la Russia stalinista appena camuffata da una patina tecnologica. Anche gli addetti ai lavori sono perplessi. Isaac Asimov, in un saggio del 1953 apparso su “Modern Science Fiction”, si rifiutava – come dargli torto? – di considerare le satire sociali di More e Swift come fantascienza ante litteram, in quanto «del tutto prive di quella connotazione di “realtà potenziali” che è indispensabile ad una narrativa autenticamente fantascientifica». Eppure proprio l’espressione “realtà potenziali” ci complica la vita.
Un passo indietro. Cerchiamo innanzitutto di definire “distopia”. Come il gatto di Schroedinger, che c’è e non c’è, il concetto è di quelli che sgusciano, si ribellano, e che non sei mai sicuro di avere chiuso nella scatola senza dimenticare qualcosa. Partendo dall’etimo greco, distopia è l’opposto di un’utopia, dunque un luogo – per esteso, una società – indesiderabile. Una società immaginaria, che però veicola concetti e idee che fanno riferimento alla (o a una) società attuale, ne criticano e portano all’estremo alcuni elementi, indicandone le possibili derive negative. […]
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TUTTLE Edizioni - P.iva 01637420512 - iscrizione rea n. 127533 del 14 Gennaio 2000