A CONSOLARMI dal repentino ripopolarsi della mia città, allora in agosto niente che non sia serrato, c'è la riapertura di Revolver e Disfunzioni Musicali. Non ricordo, ma sono certo che mentre mi avvio verso Trastevere cullo buoni propositi, elaborare nell'ultimo anno di liceo classico che mi attende una, anche imperfetta, mediazione tra il verbo dark e una più rilassata apertura verso il mondo. Neanche avrà modo d'essere sperimentata, affinché nulla vacilli e per salvaguardarmi da un'annunciata disfatta ci rinuncio non appena varco la soglia del Lucrezio Caro. E tale balzano, solo presunto, intento, almeno con tale intensità, non mi turberà più. Diventa quasi certezza, in quel settembre dell'83 e anche almeno per buona parte dell'autunno, che entrando nel piccolo negozio al 2 di Via dei Genovesi, mi investiranno le note di “Script Of The Bridge”, pubblicato il primo agosto. L'uomo al banco è già un'istituzione vivente dalla venerabile onniscienza, e se sarebbe limitativo circoscriverne l'enciclopedica sapienza a generi, certo è che quel debutto di Chameleons, tra suoni pienamente eighties e una copertina che promette prog, ne sembra ideale rappresentazione, lui che è inarrivabile cultore e docente d'astrazione romantica. Quando suona il disco, una copertina dell'album campeggia sugli scaffali affinché non si chieda, che poi si acquisti sembra essere dettaglio trascurabile, d'altronde è praticamente scontato se si è assennati. Non so quante copie finisce però per venderne in quei pochi metri quadrati, contando anche quelle della tempestiva stampa della volenterosa, encomiabile, Base. Alla fatidica domanda se l'acquirente voglia la copia inglese, in appropriata textured sleeve, o quella italiana… […]

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