RPM: Nirvana "Nevermind"
RPM: Nirvana "Nevermind"
di Antonio Ciarletta

Mentre scrivevo il pezzo che vi apprestate a leggere, Stefano Isidoro Bianchi mi ha ricordato in una e-mail che il 24 settembre di quest'anno cadrà il venticinquesimo anniversario. Eh già, sono passati venticinque anni tondi tondi dalla pubblicazione di “Nevermind”. E venticinque anni valgono bene una celebrazione, non credete? Anche se, a dirla tutta, mi pare difficile poter aggiungere qualcosa di originale rispetto ai fiumi d'inchiostro che sono stati versati, spesso a sproposito, su quelle dodici / tredici canzoni leggendarie. “Nevermind” occupa, ormai, uno spazio ben definito nell'immaginario collettivo degli appassionati di musica e non, e i significati che reca con sé sono veicolati da concetti così unanimemente condivisi che sembra siano stati incisi con il sangue su qualche antica tavola della legge. Quanto scriveva Il Corriere della Sera online nel 2011 può essere considerato esemplificativo del processo di oggettivazione che ha investivo l'album. Processo di oggettivazione che riguarda, in genere, tutte quelle opera d'arte che riescono a travalicare i confini dell'arte stessa per farsi patrimonio popolare: “L'ultimo disco generazionale, l'ultimo «album-cesura» nell'ormai lungo libro del rock'n'roll. Incredibile dover constatare che, nei vent'anni successivi, nulla ha avuto il medesimo impatto, la medesima forza di rottura di Nevermind. Già, uscì proprio il 24 settembre del 1991 il disco che lanciò in orbita i Nirvana del maudit Kurt Cobain. Esplosione di fragore primigenio, senza regole né codici. E, insieme, urlo disperato dei figli reietti dell'America reaganiana del decennio precedente, davvero senza santi e senza eroi. Sì, nulla di altrettanto dirompente è successo dopo, perché nessun'altra band è più riuscita a condensare in dodici canzoni il giovanile (e tumultuoso) zeitgeist della sua epoca.” Come dar torto al giornalista del Corriere? “Nevermind” è anche questo. O forse sarebbe meglio dire che è diventato anche questo, sebbene concetti come “ultimo disco generazionale”, “maudit”, “zeitgeist della sua epoca” fossero tutt'altro che presenti nelle intenzioni di Cobain all'atto della realizzazione di quelle rabbiose sedute di autoanalisi. […]

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