RPM: Nick Drake "Pink Moon"
RPM: Nick Drake "Pink Moon"
di Emanuele Sacchi
Nella mia fantasia la collezione di dischi di mio padre è sempre assomigliata al tesoro dei pirati. Sterminata – per i canoni di allora e non dell’insensato overloading odierno - e di valore inestimabile, collocata in un luogo impervio e di difficile fruizione. Condizione che rendeva ancor più affascinante la scoperta e il gusto della sorpresa ad ogni ascolto. Oltre a orientarsi occorreva dotarsi di un nocchiero autorevole, che aiutasse a sistematizzare il tutto: come un Riccardo Bertoncelli o un Rolf Ulrich-Kaiser, aedi di quell’epoca, ognuno con i suoi pupilli e i suoi peccatucci di soggettività. Ma anche quando, negli anni, riuscii ad ascoltare quasi tutto, capitava che inevitabilmente emergesse qualche mancanza. La più curiosa, comune alla mia esperienza come a quella di un’intera generazione, era l’assenza di album di Nick Drake, un nome che per gli anni 90, gli anni in cui muovevo i primi passi nel giornalismo musicale, era riferimento imprescindibile (per Beck, Elliott Smith o Belle And Sebastian), citato a ogni piè sospinto da cantautori indie, ma che era assente da ogni enciclopedia o compendio compilato negli anni 60 e 70. Il piacere di aggiungere un tassello mancante si aggiungeva così al mistero di una figura così emblematica e dimenticata dai coevi, ancor più degli oscuri gruppi garage raccolti in “Nuggets” o “Pebbles”.
Il passo successivo, credo comune a molti della mia generazione, fu quello di partire dall’album più celebrato. E quindi a ritroso, dall’ultimo dei tre album usciti nel breve arco della vita di Nick Drake: “Pink Moon”. L’impatto di quei 28 minuti è difficile da riepilogare e mettere nero su bianco, specie quando il ricordo della prima volta finisce per essere idealizzato e i confini tra realtà e leggenda autoalimentata si confondono. Ma l’ascolto mi colpì duramente, per la propria estraneità a ogni canone e per la malinconia espressa, così intensa e sincera da superare ogni barriera linguistica o temporale. Sarebbe stato lo stesso se avessi cominciato da “Five Leaves Left” o “Bryter Layter”? Probabilmente no, ma anche a chi ancora deve compiere il passo dell’avvicinamento a Drake mi sento di consigliare l’approccio più radicale, quello della Luna Rosa. Il perché provo a spiegarlo qui. […]
…segue per 6 pagine nel numero 286 di Blow Up, in edicola a marzo 2022
• Se non lo trovate in edicola potete ordinarlo direttamente dal nostro sito (BU#286) al costo di 10 euro (spese postali incluse) e vi verrà spedito immediatamente come piego di libri.
• Il modo migliore, più rapido, sicuro ed economico per avere Blow Up è l’abbonamento: non perderete neanche uno dei numeri pubblicati perché in caso di eccessivo ritardo o smarrimento postale vi faremo una seconda spedizione e riceverete a casa i quattro libri della collana trimestrale Director’s Cut il mese stesso della loro uscita per un risparmio complessivo di 60 euro!
Ogni mese Blow Up propone monografie, interviste, articoli, indagini e riflessioni su dischi, libri, film, musicisti, autori letterari e cinematografici scritti dalle migliori penne della critica italiana.
Nella mia fantasia la collezione di dischi di mio padre è sempre assomigliata al tesoro dei pirati. Sterminata – per i canoni di allora e non dell’insensato overloading odierno - e di valore inestimabile, collocata in un luogo impervio e di difficile fruizione. Condizione che rendeva ancor più affascinante la scoperta e il gusto della sorpresa ad ogni ascolto. Oltre a orientarsi occorreva dotarsi di un nocchiero autorevole, che aiutasse a sistematizzare il tutto: come un Riccardo Bertoncelli o un Rolf Ulrich-Kaiser, aedi di quell’epoca, ognuno con i suoi pupilli e i suoi peccatucci di soggettività. Ma anche quando, negli anni, riuscii ad ascoltare quasi tutto, capitava che inevitabilmente emergesse qualche mancanza. La più curiosa, comune alla mia esperienza come a quella di un’intera generazione, era l’assenza di album di Nick Drake, un nome che per gli anni 90, gli anni in cui muovevo i primi passi nel giornalismo musicale, era riferimento imprescindibile (per Beck, Elliott Smith o Belle And Sebastian), citato a ogni piè sospinto da cantautori indie, ma che era assente da ogni enciclopedia o compendio compilato negli anni 60 e 70. Il piacere di aggiungere un tassello mancante si aggiungeva così al mistero di una figura così emblematica e dimenticata dai coevi, ancor più degli oscuri gruppi garage raccolti in “Nuggets” o “Pebbles”.
Il passo successivo, credo comune a molti della mia generazione, fu quello di partire dall’album più celebrato. E quindi a ritroso, dall’ultimo dei tre album usciti nel breve arco della vita di Nick Drake: “Pink Moon”. L’impatto di quei 28 minuti è difficile da riepilogare e mettere nero su bianco, specie quando il ricordo della prima volta finisce per essere idealizzato e i confini tra realtà e leggenda autoalimentata si confondono. Ma l’ascolto mi colpì duramente, per la propria estraneità a ogni canone e per la malinconia espressa, così intensa e sincera da superare ogni barriera linguistica o temporale. Sarebbe stato lo stesso se avessi cominciato da “Five Leaves Left” o “Bryter Layter”? Probabilmente no, ma anche a chi ancora deve compiere il passo dell’avvicinamento a Drake mi sento di consigliare l’approccio più radicale, quello della Luna Rosa. Il perché provo a spiegarlo qui. […]
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TUTTLE Edizioni - P.iva 01637420512 - iscrizione rea n. 127533 del 14 Gennaio 2000