RPM: Leonard Cohen "I'm Your Man"
RPM: Leonard Cohen "I'm Your Man"
di Gianluca Ongaro

Ho sempre sopportato a fatica la critica soggettiva. Chi scrive di un’opera d’arte e intanto parla di se stesso. Dov’era o cosa faceva quando ha ascoltato per la prima volta quel disco, visto quel film, quel quadro o quello spettacolo teatrale, letto quel romanzo o quel racconto. Per quale motivo quella singola canzone, scena o pagina ha significato tanto in quello specifico periodo della propria esistenza. Mi hanno sempre interessato poco le emozioni provate da chi scrive. Quando leggo un pezzo su un album, quello che mi interessa è, appunto, l’album stesso: la sua gestazione, i musicisti che ci suonano, il produttore, la vita dell’artista nel momento in cui l’ha registrato, il contesto storico, il significato delle canzoni. È quello che cercherò di fare. Ma qui siamo nell’RPM e l’RPM ha un sottotitolo che recita: “L’autore ci racconta un unico disco: il suo rapporto personale, la sua visione critica e storica, le fantasie, i ricordi e i contesti che lo legano ad esso”. Quindi, se siete come me, non ve ne importerà un granché se ho scelto “I’m Your Man” di Leonard Cohen perché anni fa, non saprei dire in quale stanza dell’appartamento in cui vivevamo ci trovassimo o se lei fosse seduta o in piedi, mia madre mi disse, con un sorriso trasognato: “…è proprio vero, come canta Leonard Cohen, ‘non c’è cura per l’amore’…”. O qualcosa del genere. Si riferiva ai miei tormenti sentimentali o ai suoi? Non lo ricordo. Probabilmente a quelli di entrambi.
La canzone, naturalmente, è Ain’t No Cure For Love ed è la seconda traccia di “I’m Your Man”. Questo è il primo motivo per cui ho deciso di parlare di questo disco. Per questo e per altri di cui dirò più avanti. Vedo già le vostre facce, i vostri nasi storti. Un altro peana all’amore di un figlio verso la mamma, nella più trita tradizione italiota. Sarà pure così, ma io amavo mia madre. Non perché fosse mia madre, ma perché era buona, dolce, spiritosa. E perché non mi ha mai ammorbato con inutili prediche o saccenti paternali, nonostante gliene dessi ottimi motivi. Le piaceva molto Leonard Cohen, forse più di tutti i cantautori che le avevo fatto conoscere. Se la giocava con Van Morrison e Bruce Springsteen, ma sono sicuro che il canadese fosse un gradino sopra tutti gli altri nella sua classifica personale. Del resto era una donna, e qualcuno, non so chi ma di certo una donna, ha scritto che la voce di Leonard Cohen era così profonda e sexy, da riuscire a raggiungere il mitico e favoleggiato punto G. Strano, lui la definiva “monotona e lamentosa”, ma Cohen era un falso modesto. […]

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