RPM: Gentle Giant "Acquiring The Taste"
RPM: Gentle Giant "Acquiring The Taste"
di Giovanni Vacca

RPM #64 (feb. 2023)
“Acquiring The Taste” di Gentle Giant [LP, Vertigo 1971]
di Giovanni Vacca

Il senso di questa rubrica è, dichiaratamente, raccontare cosa ha significato un album per se stessi, di solito un album particolarmente amato o importante per la propria storia personale. In questi casi si ricorre di solito alla memoria e si inseguono a ritroso le emozioni di gioventù, quelle più intense e durature. Il disco che invece ho scelto stavolta, l’ho ascoltato nella sua interezza solo negli ultimi tempi, avendo per decenni posseduto dei Gentle Giant unicamente due antologie (registrate su cassetta da un amico facoltoso che aveva sempre tutti gli originali): dirò, insomma, quello che Acquiring the Taste, un album del 1971, rappresenta per me oggi, con la maturità e il disincanto che l’età porta con sé e le competenze di analisi e di giudizio che, si spera, siano aumentate e non siano più vincolate dall’ottica deformante della memoria.
Personalmente ho sempre trovato alcuni punti deboli nei Gentle Giant che, forse, ne possono spiegare il relativo successo, nonostante il valore della loro musica. Innanzitutto la voce del cantante Derek Shulman, ingolata, forzata, dal timbro poco piacevole; poi quell’uso insistente dei flauti dolci, dovuto ovviamente a quel loro richiamarsi a repertori rinascimentali, ma con un suono piatto all’orecchio moderno, se confrontato con il suadente timbro del traverso, strumento allora molto in voga (non solo i Jethro Tull ma anche Traffic, Genesis, King Crimson e in Italia Osanna, Premiata Forneria Marconi, New Trolls, Delirium…). Soprattutto, però, in un momento in cui il rock progressivo faceva tutt’uno con l’immaginario che proponeva, trovavo non indovinato il nome e il logo dei Gentle Giant: che fascino poteva avere un gruppo che prendeva il nome di un barbuto e innocuo “gigante gentile” rispetto agli enigmatici nomi dei gruppi di quegli anni come Led Zeppelin, Van der Graaf Generator o Pink Floyd? E che presa poteva fare una copertina con il suddetto omone, rappresentato sul loro primo disco Gentle Giant (1970), o quella di Three Friends (1972), con tre bambini che sembrano seduti su degli orinali, copertine puntualmente replicate sulle antologie che mi ero registrato, in confronto ad album con immagini inquietanti come Black Sabbath, che evocava i romanzi “neri” inglesi o Aqualung, che sembrava rimandare ai bassifondi di Londra descritti da Dickens? Mi sembrava poi alquanto incongruo, visto che la cultura “popular” inglese e quella francese non si sono mai parlate molto, quel loro rifarsi così spesso a Rabelais e ai suoi Gargantua e Pantagruele visto che, per una band del Regno Unito, c’era il ricchissimo serbatoio anglosassone a cui attingere (ovviamente i riferimenti letterari del gruppo non si limitano al grande scrittore d’oltralpe, tutt’altro, ma di certo è qualcosa che li ha ampiamente connotati). […]

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