RPM: Gato Barbieri
RPM: Gato Barbieri
di Piercarlo Poggio
Qualche mese addietro Daniele Sepe ha dato alle stampe “The Cat With The Hat”, disco dedicato a Gato Barbieri (BU#251). Non si tratta di un album di cover (se ne rintraccia una sola, Nunca mas): il napoletano è stato mosso dall’intento non di replicare (per forza male, dice lui) gli originali, bensì di esplicitare i concetti e i modi di esecuzione che stanno alla base dell’opera di Barbieri, almeno a partire da “The Third World”, inciso tra il 24 e il 25 novembre 1969 e commercializzato al principio dell’anno successivo. In sede di presentazione di “The Cat With The Hat” Sepe afferma di aver scoperto Barbieri alla metà dei Settanta, quando “dopo le lezioni in conservatorio piombavo a casa di Alberto, chitarrista in erba e con il padre appassionatissimo di jazz [che disponeva di] una raccolta di vinili rari e bellissimi: e poi Alberto aveva un impianto hi-fi di tutto rispetto. Divano, canne e ascolto collettivo della qualunque per tutta la sera. Passavamo da Bix Beiderbecke ad Archie Shepp senza steccati. Un giorno mettemmo sul piatto ‘Under Fire’, l’album di un sassofonista argentino chiamato ‘El Gato’ Barbieri. Il titolo ci piaceva, erano gli anni della contestazione, gli anni in cui sentivamo Victor Jara e Inti Illimani, il golpe in Cile era appena avvenuto. E che sorpresa ritrovare in quell’album tanto della musica folklorica sudamericana che consumavo. E poi un fraseggio totalmente diverso, legato, melodico, che mi ricordava un po’ Pharoah Sanders o John Coltrane, ma percepivo subito il luogo dove era nato e la lingua che parlava ‘El Gato’, anche solo quando suonava il sax. Fu un’illuminazione: allora si può fare jazz tenendo conto delle proprie radici culturali. Io sono nato a Napoli, papà ascoltava Matteo Salvatore e Sergio Bruni, non Frank Sinatra o Bing Crosby. ‘El Gato’ mi aveva indicato una strada che ho seguito negli anni a venire. Mi ricordai di Gato già nel mio terzo album, mettendoci dentro la sua Yo no le canto a la luna [anche conosciuta come Luna tucumana], che poi scoprii essere una canzone di Atahualpa Yupanqui. […] Gato indagava nel repertorio popolare sudamericano, considerava standards da suonare i brani che lo avevano accompagnato nell’infanzia, Piazzolla e Yupanqui, ma anche brasiliani, come Ismael Silva, di cui ci ha regalato una splendida versione di Antonico [contenuta anch’essa in “Under Fire”]: ha un testo bellissimo, non è il samba triste per la ragazza che non c’è più, parla di un amico musicista che è senza lavoro, disperato, ed è la preghiera a un altro meglio piazzato a trovargli di come vivere”. […]
…segue per 6 pagine nel numero 258 di Blow Up, in edicola a novembre 2019
• Se non lo trovate in edicola potete ordinarlo direttamente dal nostro sito (BU#258) al costo di 10 euro (spese postali incluse) e vi verrà spedito immediatamente come piego di libri.
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Ogni mese Blow Up propone monografie, interviste, articoli, indagini e riflessioni su dischi, libri, film, musicisti, autori letterari e cinematografici scritti dalle migliori penne della critica italiana.
Qualche mese addietro Daniele Sepe ha dato alle stampe “The Cat With The Hat”, disco dedicato a Gato Barbieri (BU#251). Non si tratta di un album di cover (se ne rintraccia una sola, Nunca mas): il napoletano è stato mosso dall’intento non di replicare (per forza male, dice lui) gli originali, bensì di esplicitare i concetti e i modi di esecuzione che stanno alla base dell’opera di Barbieri, almeno a partire da “The Third World”, inciso tra il 24 e il 25 novembre 1969 e commercializzato al principio dell’anno successivo. In sede di presentazione di “The Cat With The Hat” Sepe afferma di aver scoperto Barbieri alla metà dei Settanta, quando “dopo le lezioni in conservatorio piombavo a casa di Alberto, chitarrista in erba e con il padre appassionatissimo di jazz [che disponeva di] una raccolta di vinili rari e bellissimi: e poi Alberto aveva un impianto hi-fi di tutto rispetto. Divano, canne e ascolto collettivo della qualunque per tutta la sera. Passavamo da Bix Beiderbecke ad Archie Shepp senza steccati. Un giorno mettemmo sul piatto ‘Under Fire’, l’album di un sassofonista argentino chiamato ‘El Gato’ Barbieri. Il titolo ci piaceva, erano gli anni della contestazione, gli anni in cui sentivamo Victor Jara e Inti Illimani, il golpe in Cile era appena avvenuto. E che sorpresa ritrovare in quell’album tanto della musica folklorica sudamericana che consumavo. E poi un fraseggio totalmente diverso, legato, melodico, che mi ricordava un po’ Pharoah Sanders o John Coltrane, ma percepivo subito il luogo dove era nato e la lingua che parlava ‘El Gato’, anche solo quando suonava il sax. Fu un’illuminazione: allora si può fare jazz tenendo conto delle proprie radici culturali. Io sono nato a Napoli, papà ascoltava Matteo Salvatore e Sergio Bruni, non Frank Sinatra o Bing Crosby. ‘El Gato’ mi aveva indicato una strada che ho seguito negli anni a venire. Mi ricordai di Gato già nel mio terzo album, mettendoci dentro la sua Yo no le canto a la luna [anche conosciuta come Luna tucumana], che poi scoprii essere una canzone di Atahualpa Yupanqui. […] Gato indagava nel repertorio popolare sudamericano, considerava standards da suonare i brani che lo avevano accompagnato nell’infanzia, Piazzolla e Yupanqui, ma anche brasiliani, come Ismael Silva, di cui ci ha regalato una splendida versione di Antonico [contenuta anch’essa in “Under Fire”]: ha un testo bellissimo, non è il samba triste per la ragazza che non c’è più, parla di un amico musicista che è senza lavoro, disperato, ed è la preghiera a un altro meglio piazzato a trovargli di come vivere”. […]
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TUTTLE Edizioni - P.iva 01637420512 - iscrizione rea n. 127533 del 14 Gennaio 2000