Richard Yates
Richard Yates
di Maurizio Bianchini

1.
Come diavolo ci sono finito in questa gabola del National Book Award del 1962? Sfogliando una silloge, da poco uscita per i tipi di Minimum Fax, che sotto il titolo impavido di Capolavori raccoglie i due romanzi maggiori (Revolutionary Road e Easter Parade) e le due raccolte di racconti (Undici solitudini e Bugiardi e innamorati) pubblicate in vita da Richard Yates. E quando si parla di lui, è fatale che si finisca per rivangare la mancata attribuzione del premio al folgorante esordio rappresentato da Revolutionary Road. Che fortuna, mi sono detto ripercorrendo la vicenda, non essermi trovato fra i membri della giuria chiamata ad assegnare il titolo nell’edizione del ’62. Sarebbe stata un’impresa ardua quanto scalare il K2, o ascoltare un dibattito fra virologi, scegliere tra La vita nuova di Malamud, I due bugiardi di Isaac B. Singer, Comma 22 di Joseph Heller, Franny and Zooey di Salinger – e se proprio non si fosse riusciti a trovare il consenso su uno di quei ‘pezzi da novanta’, cosa che in effetti accadde, ripiegare su seconde scelte come False Entry di Hortense Calisher, erede tra le più affidabili di Edith Wharton e Henry James; The Chateau di William Maxwell, storico editor di Salinger e di Cheever al New Yorker; L’uomo del banco dei pegni di Edward L. Wallant, giovane e promettente autore che sarebbe morto l’anno dopo e dal cui libro sarà tratto il pluripremiato omonimo film di Sidney Lunet; Il mattino e la sera di Joan Williams, confidente e compagna per un quinquiennio di William Faulkner; e da due esordi dei quali si sarebbe parlato molto: Revolutionary Road di di Richard Yates, circondato fin dall’uscita dall’interesse della critica, e L’uomo che andava al cinema di Walker Percy, definito dall’autore “la storia di un giovane che gode di tutti i vantaggi di una sofisticata famiglia vecchio stile del Sud, è incline alla scienza e alle arti, attratto dalle donne, le auto sportive e tutto ciò che ha a che fare con la cultura, e nondimeno si sente completamente estraneo tanto al vecchio Sud quanto alla Nuova America.” Contro ogni aspettativa, a vincere fu proprio quest’ultimo. E a perdere, a giudizio pressoché unanime, Revolutionary Road. Dopo aver letto, complice l’isolamento imposto dalle circostanze, tutti i libri di cui sopra, con la sola eccezione dell’introvabile False Entry della Calisher, mi sono aggiunto al coro di quanti si sono chiesti, da allora, cosa possa aver prodotto un così palese sconvolgimento di valori. Confesso di non aver trovato una risposta interessante almeno quanto i ragionamenti messi in campo nella sua ricerca (e di essermi convinto più di quanto fossi già, e non lo sono poco, che i premi hanno raramente a che fare con la qualità delle opere premiate. E che si dovrebbe aspettare molto più dei pochi canonici mesi passati dalla loro pubblicazione, per gettare su di un libro il peso di un prestigio immeritato). Ma come si dice Hic Rhodus, hic salta. […]

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