Retro Soul
Retro Soul
di Carlo Babando

[nella foto: Charles Bradley]

E CHI LO AVREBBE detto che questa contemporaneità apparentemente solo a misura di futuro sarebbe stata invece meravigliosamente imbrattata da una tale cascata di... "vecchio"? Già, vecchio come un quarantacinque giri che mai qualche anno fa un ventenne si sarebbe sognato di fare girare su un piatto; vecchio come la paccottiglia impolverata dei nonni prima che si pensasse di chiamarla vintage: vecchio come il termine rhythm’n’blues insomma, e per niente strappamutande come quello assai più lascivo di black music. Musica nera per catalogare tonnellate di dischi e coprire uno spazio potenzialmente infinito tra le coste dell’Africa subsahariana e tutti i figli bastardi della cultura hip-hop, passando anche per certa elettronica fortemente imparentata con i tamburi di un mondo troppo doloroso per volerlo comprendere davvero. Senza entrare in discorsi per cui ci vorrebbe ben più dello spazio a disposizione, basti pensare che se la strada del sentire musicale afroamericano qualche anno fa pareva ormai direzionarsi commercialmente verso sensuali connubi di passato e squarci di sintetico sulla scorta del neo-soul alla D’Angelo o Erykah Badu – giusto per restare ai nomi grossi e senza scomodare l’universo parallelo dei DJ – col volgere del secolo le carte in tavola sono state mosse nella maniera più inaspettata di tutte. Sebbene da un po’ di tempo infatti il termine “retromania” sia usato (e abusato) in lungo e in largo, in quel gumbo che ha nome black music la questione potrebbe rivelare aspetti inattesi, soprattutto se l’interazione tra bianco e nero assume significati per l’ennesima volta degni di un trattato di sociologia lungo qualche migliaio di pagine. E’ solo il capitolo più sostanzioso di una storia che in realtà vive anche di racconti lunghi il tempo di un respiro, ma per dare uno sguardo al panorama facciamoci bastare – per così dire – una delle vicende discograficamente più interessanti dell’ultimo ventennio; un’aggrovigliata epopea che meriterebbe di certo ben più di queste righe ma che in fondo, allo stato attuale delle cose, non ha neanche più bisogno delle suddette per farsi strada nelle vostre cuffie: la chiameremo la favola newyorchese della coraggiosa Daptone Records. E se il titolo vi ricorda uno di quei racconti africani sui leoni e i conigli… beh, diciamo pure che non è un caso. […]

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