di Luca Majer

Non ho mai coscientemente ‘sopportato’ Raffaella Carrà al punto di ascoltarla. Non l’avevo in uggia: semplicemente la ritenevo dall’altra di quella linea che definisce le cose che ci interessano da quelle che non. Musicalmente di qua i Soft Machine o i Gong, Area e Terry Riley, dall’altra Al Bano, Romina, Claudio (Villa) e appunto… la Raffa. E nel balletto, da una parte Meredith Monk o Twyla Tharp, dall’altra appunto la Raffa (o la Minnelli…) E tra gli attori? Stesso. Forse tra i presentatori, ecco su quelli Raffa ha fatto cose storiche per l’Europa Latina… e se negli ’80 non avrei mai creduto di scrivere un articolo su di Lei senza spirito canzonatorio e chiarisco che oggi non mi muove alcun snobismo aurale. Nel senso che è difficile dire che la “sua” musica fosse vile, ed i Mamas & Papas invece fighi. A meno che tu sei colonizzato, caso in cui nulla posso.
Ma nonostante la musica abbastanza generica, Raffa ha qualcosa nel condimento per cui è unica. È la nostra biondina degli ABBA, un simbolo: è già il nome di una piazza a Madrid, forse un’altra a Roma. È soprattutto una colonna fondante della narrativa popolare italiana tra anni ’70 e ’90. Una donna ‘entrata in vena’ ad almeno due nazioni dei PIIGS (i tanto calunniati ‘lazzaroni’ d’Europa). E qualcos’altro. […]

…segue per 4 pagine nel numero 280 di Blow Up, in edicola a settembre 2021

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