PSEUDOFILM
PSEUDOFILM
di Roberto Curti

LO SPECIALE che state per leggere è un po’ diverso dal solito. Perché in queste pagine si parlerà di pseudofilm. Film che non esistono, che non sono mai stati girati, ma solo immaginati, citati, e in parte concretizzati (attraverso menzioni, racconti, singole scene, spezzoni) all’interno di altri film. Avete presente quando guardate un film i cui protagonisti a loro volta guardano (o realizzano, o cercano, o citano…) un film che risulta più o meno funzionale al plot? Ecco. Qualcosa di diverso, insomma, dai film realmente progettati e mai girati (Il viaggio di G. Mastorna di Fellini, il Napoleone di Kubrick), iniziati e mai completati (The Other Side of the Wind di Orson Welles, The Double di Polanski), conclusi ma mai circolati (Maldoror di Alberto Cavallone). No: gli pseudofilm nascono, vivono e muoiono esclusivamente all’interno di un’altra opera cinematografica, come sogni dentro altri sogni. Il corrispettivo di celluloide dello pseudobiblion, un libro mai scritto ma citato in altri libri come se fosse anch’esso vero.
La storia della letteratura è piena di pseudobiblia, la cui fama a volte raggiunge e supera quella dell’autore (vero) stesso: pensiamo al proverbiale Necronomicon, il testo di magia nera che H. P. Lovecraft attribuì all’arabo pazzo Abdul Alhazred. E ancora, il sulfureo Le nove porte del Regno delle Ombre di Aristide Torchia (Il club Dumas, di Pérez Reverte), i romanzi di T.S. Garp raccontati da John Irving (con palesi riferimenti autobiografici) in Il mondo secondo Garp, La cavalletta non si alzerà più di Hawthorne Abendsen in La svastica sul sole di Philip K. Dick, il poema incompiuto in distici eroici di novecentonovantanove versi composto da John Shade Fuoco pallido, che costituisce l’ossatura dell’omonimo capolavoro di Nabokov… C’è chi ha creato scrittori (Il Kilgore Trout di Vonnegut, il George Stark di Stephen King), chi intere biblioteche di pseudobiblia, persino interi generi letterari: è il caso dello straordinario La letteratura nazista in America di Bolaño, che anche in 2666 dedica ampio spazio all’elusivo scrittore Benno von Arcimboldi.
E il cinema? Benché assai più giovane, inizia presto a filmarsi addosso: e lo stratagemma dello pseudofilm diventa in breve idea ricorrente, luogo comune, pretesto per raccontare gioie e dolori, umane miserie della Settima arte. Gli pseudofilm prendono piede, reclamano il proscenio, acquisiscono vita propria: cosa sarebbe Cantando sotto la pioggia senza Il cavaliere spadaccino, il film-nel-film le cui vicissitudini raccontano come meglio non si potrebbe il passaggio dal muto al sonoro a Hollywood? O La ricotta senza il set di quella Passione del Cristo che Pasolini fa girare al suo innominato regista (Orson Welles) ispirandosi alle pale d’altare del Pontormo e del Rosso Fiorentino, irrompendo nel bianco e nero della narrazione in un tripudio di colori squillanti? […]

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