Procedimenti del silenzio
Procedimenti del silenzio
di Fabio Donalisio

[nell’immagine: John Biguenet]

1. Silenzi d'oro
Lo dicevano le nonne (e anche sul concetto di nonna si dovrebbe ridiscutere, dopo il passaggio del millennio, almeno a livello linguistico-estetico): il silenzio è d'oro. Per non farsi rintronare dai nipoti, probabilmente. Inconsapevoli delle ragioni economiche a venire. E forse, buon per loro, della follia che ancora si nascondeva un poco nel vaso di Pandora tecnologico, nella Cinquecento scricchiolante, nel friggere del bianco e nero. Eoni fa. Una manciata di anni fa. Oggi il silenzio è puramente impossibile, a qualunque livello lo si voglia considerare. Un bene di lusso, una prerogativa di classe, qualcosa che si paga, soggetto a una durissima legge domanda/offerta. Nelle metropoli scene di gusto feudale: sobborghi ebbri di ogni tipo di rumore, stanze, saloni del potere in cui rimbombano i passi, nonostante il feltro sotto le suole. Nulla scampa all'attribuzione di valore. E, chi può, si permette auspici di fuga nel selvaggio. A cui non crede, in fondo, ma compra. L'idea stessa di stare fuori dal rumore, dal commercio umano, è destituita di senso dal semplice fatto che l'uomo ha disimparato a sopravvivere al di fuori delle comunicazioni. Se e quando succederà (perché succederà), sarà l'applicazione ultima delle teorie evoluzionistiche (con buona pace dei darwinisti sociali che, contro ogni realtà, non si decidono a estinguersi): l'ingegno umano finalmente (ri)messo alla prova sulle necessità primarie. Si accettano scommesse sulle percentuali di sopravvivenza. In ogni caso, per quel che ci riguarda qui, ovvero una forma di linguaggio sostanzialmente parassitaria, possiamo dire che negli ultimi tempi (che graziosa formula per non dire nulla, o forse tutto) il silenzio è stato tematizzato anche a livello letterario. Certo, più che in altri ambiti di acrobazia editoriale, pare un forte controsenso. Inutile tirare in ballo sempre Wittgenstein. Sarebbe solo buon senso. Se vogliamo il silenzio, facciamolo. Inutile scriverne. Ma, si sa: chi sa fa, chi non sa insegna (o scrive). Chi manco quello – parafrasando Woody – scrive del silenzio. Non me ne vogliano gli autori dei libri – importanti – che fungono da solito pretesto al divagare, in questo caso. Lo strale è rivolto più che altro al balbettio narrativo che tutto e tutti sovrasta. Fatto sta che i titoli a vario titolo “silenziosi” stanno facendo capolino – pudicamente, per non uscire dal ruolo – nei cataloghi e sugli scaffali delle librerie. […]

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