Peter Ivers
Peter Ivers
di Federico Savini
John Belushi gli fu amico, David Lynch a momenti pendeva dalle sue labbra, Jello Biafra lo trovava divertente, Michael Gira gli fece mettere le mani sulla sua musica, ha rischiato di far parte dei Devo, i Pixies l’hanno coverizzato, senza di lui non sarebbe nato "Jesus Christ Superstar", Muddy Waters arrivò a definirlo "il più grande armonicista vivente", Van Dyke Parks si sperticò per accasarlo alla Warner, Harold Ramis gli deve un bel po' di battute ma, tra le altre cose, fu tra i sospettati del suo omicidio, che peraltro non ha ancora un colpevole a 36 anni dai fatti sanguinosi. Ma soprattutto, perché diamine non sappiamo nulla di Peter Ivers?
Forse perché è stato un personaggio fin troppo eclettico e poco aduso a chiudere i (tanti) cerchi che apriva. E un po’ anche perché, semplicemente, non siamo americani. Il fatto è che il campo artistico nel quale Ivers raggiunse la massima visibilità è stato quello televisivo, per di più notturno, semi-delirante e votato all’emersione mediatica di punk-rock e new-wave all’alba degli anni ’80, e questo spiega almeno in parte perché questa figura sia rimasta semi-ignota.
“Più cose scoprivo su di lui - dice Josh Frank, fan e biografo dei Pixies ossessionato da Ivers al punto di avergli dedicato una biografia-inchiesta vergata a quattro mani con Charlie Buckholtz - e più rimanevo impressionato dal fatto che Peter avesse frequentato tutte le persone che più ammiro al mondo. E ognuna di queste persone, grandi attori, autori e musicisti, non ha fatto che ribadirmi quanto amasse e stimasse Peter, con uno slancio emotivo e un’unanimità di giudizi che non ho mai riscontrato per nessun altro”. Ecco, così forse è persino eccessivo ed è sicuro che chi fa una brutta fine come quella di Peter Ivers, senza aver nemmeno prima raggiunto il successo-quello-vero, ha più probabilità di altri di venire idealizzato a posteriori. In ogni caso, a cinquant’anni dal debutto discografico è tempo di fissare qualche punto fermo su questo artista indefinibile, cercando di mediare fra l'oblio assoluto e il culto spasmodico. […]
…segue per 6 pagine nel numero 261 di Blow Up, in edicola a febbraio 2020
• Se non lo trovate in edicola potete ordinarlo direttamente dal nostro sito (BU#261) al costo di 10 euro (spese postali incluse) e vi verrà spedito immediatamente come piego di libri.
• Il modo migliore, più rapido, sicuro ed economico per avere Blow Up è l’abbonamento: non perderete neanche uno dei numeri pubblicati perché in caso di eccessivo ritardo o smarrimento postale vi faremo una seconda spedizione e riceverete a casa i quattro libri della collana trimestrale Director’s Cut il mese stesso della loro uscita per un risparmio complessivo di 60 euro!
Ogni mese Blow Up propone monografie, interviste, articoli, indagini e riflessioni su dischi, libri, film, musicisti, autori letterari e cinematografici scritti dalle migliori penne della critica italiana.
John Belushi gli fu amico, David Lynch a momenti pendeva dalle sue labbra, Jello Biafra lo trovava divertente, Michael Gira gli fece mettere le mani sulla sua musica, ha rischiato di far parte dei Devo, i Pixies l’hanno coverizzato, senza di lui non sarebbe nato "Jesus Christ Superstar", Muddy Waters arrivò a definirlo "il più grande armonicista vivente", Van Dyke Parks si sperticò per accasarlo alla Warner, Harold Ramis gli deve un bel po' di battute ma, tra le altre cose, fu tra i sospettati del suo omicidio, che peraltro non ha ancora un colpevole a 36 anni dai fatti sanguinosi. Ma soprattutto, perché diamine non sappiamo nulla di Peter Ivers?
Forse perché è stato un personaggio fin troppo eclettico e poco aduso a chiudere i (tanti) cerchi che apriva. E un po’ anche perché, semplicemente, non siamo americani. Il fatto è che il campo artistico nel quale Ivers raggiunse la massima visibilità è stato quello televisivo, per di più notturno, semi-delirante e votato all’emersione mediatica di punk-rock e new-wave all’alba degli anni ’80, e questo spiega almeno in parte perché questa figura sia rimasta semi-ignota.
“Più cose scoprivo su di lui - dice Josh Frank, fan e biografo dei Pixies ossessionato da Ivers al punto di avergli dedicato una biografia-inchiesta vergata a quattro mani con Charlie Buckholtz - e più rimanevo impressionato dal fatto che Peter avesse frequentato tutte le persone che più ammiro al mondo. E ognuna di queste persone, grandi attori, autori e musicisti, non ha fatto che ribadirmi quanto amasse e stimasse Peter, con uno slancio emotivo e un’unanimità di giudizi che non ho mai riscontrato per nessun altro”. Ecco, così forse è persino eccessivo ed è sicuro che chi fa una brutta fine come quella di Peter Ivers, senza aver nemmeno prima raggiunto il successo-quello-vero, ha più probabilità di altri di venire idealizzato a posteriori. In ogni caso, a cinquant’anni dal debutto discografico è tempo di fissare qualche punto fermo su questo artista indefinibile, cercando di mediare fra l'oblio assoluto e il culto spasmodico. […]
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TUTTLE Edizioni - P.iva 01637420512 - iscrizione rea n. 127533 del 14 Gennaio 2000