Nolan Potter
Nolan Potter
di Ruben Gavilli

Si fa fatica a superare certi pregiudizi. Che si tratti di una squadra avversaria, del competitor della vostra marca preferita di cellulari, delle tendenze politiche di un collega, alcune cose non ci tornano. È inutile sforzarsi di essere obiettivi, ascoltare pareri discordanti, concedersi il lusso di provare qualcosa di diverso, almeno una volta: in alcuni casi, non si ha voglia di sapere se quel pregiudizio è fondato o meno. In ambito musicale, uno dei pregiudizi più inamovibili riguarda la narrazione sul prog, specialmente da parte del pubblico “punk”. Nel mondo punk c’è sempre stata una diffidenza naturale verso il prog, avvertito come genere fondato su basi opposte ai tre accordi, alla velocità, e al nichilismo: la tecnica maniacale, la prolissità, la fantasia onanistica. Su queste differenze c’è persino chi ha azzardato teorie ontologiche: ci sono uno spirito “punk” e uno spirito “prog” di approcciarsi alle cose della musica e della vita. Insomma, due livelli che non vanno assolutamente mescolati; c’è una linea netta che separa il bianco e il nero, il giorno e la notte. È piacevole farsi cullare da questa idea; eppure, appena si dà un’occhiata più da vicino, ci rendiamo conto che è quella divisione è solamente illusoria. Ormai è noto a tutte le latitudini che la questione “punk vs. prog” fu un’invenzione a posteriori, e riguardava soprattutto il mondo musicale britannico e portava in sé una serie di contraddizioni e ingigantimenti: insomma, alcune narrazioni sono destinate a morire, per fortuna.
L’avvento dell’era di Internet ha fatto anche cose buone; ci ha permesso di andare oltre questi banali stereotipi, soprattutto se si guarda ai musicisti delle nuove generazioni, almeno dai millennials in poi. La faccenda è molto radicata, ma ormai superata, come mi racconta Nolan Potter: “anche negli Stati Uniti esistono queste divisioni; la gente vede un gruppo rock con un flauto traverso, e pensa subito ai Jethro Tull, e per questo ho dovuto mettere da parte il flauto per un po’. Ma penso che termini come ‘prog’ o punk’ siano ormai superati e inutili nell’era moderna. Fanno riferimento a movimenti che sono durati quanto, sei o sette anni, cinquant’anni fa? Da quando l’uomo è in grado di fare musica, ha cercato sempre di sperimentare di più con il ritmo e la melodia. Non c’è niente di vecchio, né niente di nuovo.” […]

…segue per 6 pagine nel numero 320 di Blow Up, gennaio 2025

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