Modernità di San Pietroburgo
Modernità di San Pietroburgo
di Maurizio Bianchini

1.
Bagliori a San Pietroburgo di Jan Brokken accende le luci sulla città più in ombra del trittico in cui, nella stagione a cavallo fra il secolo lungo (il XIX) e quello breve (XX), la modernità consuma la sua dirompente parabola (una fine da cui non ci siamo ancora riavuti, e niente sembra averne preso il posto se non la sua assenza) e sul passaggio ideale di consegne con Parigi e Berlino. Se la città di Baudelaire, Rimbaud e Proust, in cui la Modernità si è formata – stato dell’anima e malattia dello spirito – è ormai devota al suo culto postumo, al censimento degli esiti finali e al catalogo delle voce, attraverso la mise en abyme di ben due generazioni di critici, da Valery a Barthes attraverso Blanchot e Bataille, Pietroburgo si propone come teatro di esperimenti esoterici e futurismi corrosivi, nonché, con l’Ottobre Rosso, come fucina dell’Uomo Nuovo’, affermato e ripudiato quasi in contemporanea, e suddiviso poi in parti uguali tra panslavismo, ‘scitismo’ e sovietismo, mentre già riverberano i fuochi del Sabbah rigeneratore a cui si offrirà, come a una pira sacrificale, la Berlino disperata e vitalista degli anni Trenta. Ma più ancora che nella altre due, il carattere prometeico della modernità è leggibile nella natura intima e profonda dell’opera impossibile che prende il suo nome, Pietroburgo, dall’uomo che, solo, lo zar Pietro I, la volle capitale di un regno a cavallo di due continenti, città che guarda all’Europa e fa la guardia all’Asia. Ché tale fin dall’inizio il luogo si configura, elevato su paludi insalubri e mefitiche, con fondamenta, come ha scritto Blok, mi pare, ‘impastate d’ossa’, ma splendida di colori e monumenti e opere d’arte, e avvertita perciò al tempo stesso con un prodigio unico e una minaccia sempre latente. In questo palcoscenico precario e maestoso, ossessivo e invadente, gravido più di presagi che di promesse, naturalmente si collocano, e si collegano fra loro, i sommovimenti artistici, politici e filosofici che già da Puskin, attraverso Gogol, Dostoevskij, Blok e Belyj, arrivano a Mandel’štam, Nabokov, Achmatova, e Brodskij, che però appartiene già alla città di Lenin. […]

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