Moderni e antimoderni
Moderni e antimoderni
di Maurizio Bianchini
1.
“Che paese meraviglioso era l’Italia durante il periodo del fascismo e subito dopo! La vita era come la si era conosciuta da bambini, e per venti trent’anni non è più cambiata: non dico i suoi valori – che sono una parola troppo alta e ideologica per quello che voglio semplicemente dire – ma le apparenze parevano dotate del dono dell’eternità: si poteva appassionatamente credere nella rivolta o nella rivoluzione, ché tanto quella meravigliosa cosa che era la forma della vita, non sarebbe cambiata. Ci si poteva sentire eroi del mutamento e della novità, perché a dare coraggio e forza era la certezza che le città e gli uomini, nel loro aspetto profondo e bello, non sarebbero mai mutati: sarebbero giustamente migliorate soltanto le loro condizioni economiche e culturali, che non sono niente rispetto alla verità preesistente che regola meravigliosamente immutabili i gesti, gli sguardi, gli atteggiamenti del corpo di un uomo o di un ragazzo.” (Pasolini, “Sandro Penna: Un po’ di febbre”, in Scritti Corsari).
Non sembri strano aprire con una citazione così italiana le riflessioni sparse sul libro di un filosofo francese in cui si parla quasi solo di autori francesi. Ma Pasolini è il solo italiano contemporaneo ad essere nominato, per quattro volte e in passaggi strategici, ne Gli antimoderni, da Joseph De Maistre a Roland Barthes di Antoine Compagnon, pensatore da noi noto per Un’estate con Montaigne. E del Barthes che al ponderoso volume fa da architrave contemporaneo, come Baudelaire per il passato, Pasolini è non solo confrère ideale (molti i tratti, anche biografici, che li accumunano, dai rapporti con le madri alle militanze varie; dall’omosessualità alle morti ravvicinate e singolari) ma anche ispiratore discreto, a far data dai corsi su Le Neutre (Collège de France, 1977) coi quali inizia il coming-out ‘antimoderno’ di quello che era stato noto ai più, fino ad allora, come sostenitore dello strutturalismo, delle audacie sperimentaliste e di Tel Quel – quanto di più moderno, insomma, anche se si era già autodefinito, in Roland Barthes di Roland Barthes, ‘retroguardia dell’avanguardia’. Ma al decadimento dei tempi e alla morte della lingua e della letteratura, egli oppone la stessa ‘disperata vitalità’ dell’ultimo Pasolini. L’ammissione di una sconfitta senza una resa. […]
…segue per 6 pagine nel numero 245 di Blow Up, in edicola a ottobre 2018: da questo mese 148 pagine!
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Ogni mese Blow Up propone monografie, interviste, articoli, indagini e riflessioni su dischi, libri, film, musicisti, autori letterari e cinematografici scritti dalle migliori penne della critica italiana.
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“Che paese meraviglioso era l’Italia durante il periodo del fascismo e subito dopo! La vita era come la si era conosciuta da bambini, e per venti trent’anni non è più cambiata: non dico i suoi valori – che sono una parola troppo alta e ideologica per quello che voglio semplicemente dire – ma le apparenze parevano dotate del dono dell’eternità: si poteva appassionatamente credere nella rivolta o nella rivoluzione, ché tanto quella meravigliosa cosa che era la forma della vita, non sarebbe cambiata. Ci si poteva sentire eroi del mutamento e della novità, perché a dare coraggio e forza era la certezza che le città e gli uomini, nel loro aspetto profondo e bello, non sarebbero mai mutati: sarebbero giustamente migliorate soltanto le loro condizioni economiche e culturali, che non sono niente rispetto alla verità preesistente che regola meravigliosamente immutabili i gesti, gli sguardi, gli atteggiamenti del corpo di un uomo o di un ragazzo.” (Pasolini, “Sandro Penna: Un po’ di febbre”, in Scritti Corsari).
Non sembri strano aprire con una citazione così italiana le riflessioni sparse sul libro di un filosofo francese in cui si parla quasi solo di autori francesi. Ma Pasolini è il solo italiano contemporaneo ad essere nominato, per quattro volte e in passaggi strategici, ne Gli antimoderni, da Joseph De Maistre a Roland Barthes di Antoine Compagnon, pensatore da noi noto per Un’estate con Montaigne. E del Barthes che al ponderoso volume fa da architrave contemporaneo, come Baudelaire per il passato, Pasolini è non solo confrère ideale (molti i tratti, anche biografici, che li accumunano, dai rapporti con le madri alle militanze varie; dall’omosessualità alle morti ravvicinate e singolari) ma anche ispiratore discreto, a far data dai corsi su Le Neutre (Collège de France, 1977) coi quali inizia il coming-out ‘antimoderno’ di quello che era stato noto ai più, fino ad allora, come sostenitore dello strutturalismo, delle audacie sperimentaliste e di Tel Quel – quanto di più moderno, insomma, anche se si era già autodefinito, in Roland Barthes di Roland Barthes, ‘retroguardia dell’avanguardia’. Ma al decadimento dei tempi e alla morte della lingua e della letteratura, egli oppone la stessa ‘disperata vitalità’ dell’ultimo Pasolini. L’ammissione di una sconfitta senza una resa. […]
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TUTTLE Edizioni - P.iva 01637420512 - iscrizione rea n. 127533 del 14 Gennaio 2000