Love
Love
di Federico Guglielmi
E amore fu (1965-1968)
Una deliziosa, piacevolissima canzone, che non è dei Love ma che potrebbe esserne una cover (la paternità è degli Stems, australiani anni ’80 con testa e cuore nei Sixties), si intitola You Can’t Turn The Clock Back, ovvero “Non si può riportare indietro l’orologio”. Triste realtà, purtroppo, a meno che non ci si accontenti di farlo solo con il racconto, studiando le fonti e lasciando il minimo spazio possibile a quella fantasia che probabilmente renderebbe tutto più bello e mitico ma anche artificiale, posticcio. Ruotiamo allora a ritroso le immaginarie lancette fermandole attorno alla metà dei favolosi Sixties californiani e puntando la telecamera (proviamo a vederlo come un film più che come una narrazione scritta) su Arthur Taylor Lee e Bryan Andrew Maclean, due ragazzi che al di là dell’anno e mezzo che l’uno aveva più dell’altro - 7 marzo 1945 e 25 settembre 1946 le rispettive date di nascita - non avrebbero potuto essere più diversi. Il primo era un afroamericano di Memphis giunto da bambino a Los Angeles con la madre, separatasi da Chester Taylor - un musicista jazz in pratica disinteressatosi della famiglia - e lì risposatasi con il Clinton Lee che nel 1960 avrebbe adottato legalmente il figliastro. Cresciuto con il blues, dal 1963 il giovane si arrangiava suonando professionalmente in alcuni gruppi con l’amico d’infanzia Johnny Echols - lui pure chitarrista e afroamericano originario di Memphis - e lavorando quando capitava come produttore; le testimonianze d’epoca della comune gavetta sono i 45 giri The Ninth Wave (Capitol, 1963) a nome Arthur Lee And The L.A.G.’s, con due strumentali nei quali Lee è impegnato all’organo, e Luci Baines (Selma, 1964) degli American Four, dall’impronta più rock (il lato A, cantato da Lee, è una specie di imitazione di Twist And Shout). Bryan Maclean, invece, era un biondone bianco di estrazione altoborghese, chitarrista devoto fin da piccolo ai classici dell’American Songbook e al folk ma più avanti folgorato da Elvis Presley e Beatles; nei mesi in cui Lee ed Echols si davano da fare in coppia, aveva varato una carriera da cantautore nei club, divenendo poi roadie dei Byrds per i concerti promozionali del singolo d’esordio Mr. Tambourine Man. […]
…segue per 12 pagine nel numero 274 di Blow Up, in edicola a marzo 2021
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Ogni mese Blow Up propone monografie, interviste, articoli, indagini e riflessioni su dischi, libri, film, musicisti, autori letterari e cinematografici scritti dalle migliori penne della critica italiana.
E amore fu (1965-1968)
Una deliziosa, piacevolissima canzone, che non è dei Love ma che potrebbe esserne una cover (la paternità è degli Stems, australiani anni ’80 con testa e cuore nei Sixties), si intitola You Can’t Turn The Clock Back, ovvero “Non si può riportare indietro l’orologio”. Triste realtà, purtroppo, a meno che non ci si accontenti di farlo solo con il racconto, studiando le fonti e lasciando il minimo spazio possibile a quella fantasia che probabilmente renderebbe tutto più bello e mitico ma anche artificiale, posticcio. Ruotiamo allora a ritroso le immaginarie lancette fermandole attorno alla metà dei favolosi Sixties californiani e puntando la telecamera (proviamo a vederlo come un film più che come una narrazione scritta) su Arthur Taylor Lee e Bryan Andrew Maclean, due ragazzi che al di là dell’anno e mezzo che l’uno aveva più dell’altro - 7 marzo 1945 e 25 settembre 1946 le rispettive date di nascita - non avrebbero potuto essere più diversi. Il primo era un afroamericano di Memphis giunto da bambino a Los Angeles con la madre, separatasi da Chester Taylor - un musicista jazz in pratica disinteressatosi della famiglia - e lì risposatasi con il Clinton Lee che nel 1960 avrebbe adottato legalmente il figliastro. Cresciuto con il blues, dal 1963 il giovane si arrangiava suonando professionalmente in alcuni gruppi con l’amico d’infanzia Johnny Echols - lui pure chitarrista e afroamericano originario di Memphis - e lavorando quando capitava come produttore; le testimonianze d’epoca della comune gavetta sono i 45 giri The Ninth Wave (Capitol, 1963) a nome Arthur Lee And The L.A.G.’s, con due strumentali nei quali Lee è impegnato all’organo, e Luci Baines (Selma, 1964) degli American Four, dall’impronta più rock (il lato A, cantato da Lee, è una specie di imitazione di Twist And Shout). Bryan Maclean, invece, era un biondone bianco di estrazione altoborghese, chitarrista devoto fin da piccolo ai classici dell’American Songbook e al folk ma più avanti folgorato da Elvis Presley e Beatles; nei mesi in cui Lee ed Echols si davano da fare in coppia, aveva varato una carriera da cantautore nei club, divenendo poi roadie dei Byrds per i concerti promozionali del singolo d’esordio Mr. Tambourine Man. […]
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TUTTLE Edizioni - P.iva 01637420512 - iscrizione rea n. 127533 del 14 Gennaio 2000