di Roberto Calabrò

C’è un momento delicatissimo al minuto 14:27 di “Se ho vinto se ho perso”, il pluripremiato documentario di Gian Luca Rossi sui Kina. Il batterista Sergio Milani si trova in montagna con la figlia, la bambina gli domanda: “Papà, perché hai iniziato a suonare?”. Lui cerca le parole migliori per trasportarla in un’altra dimensione spazio-temporale: “Perché eravamo dei giovinastri, non c’era niente che ci piaceva qui ad Aosta e non sapevamo come divertirci. Così abbiamo deciso che avremmo potuto comprare degli strumenti e iniziare a suonare. C’erano tante cose che non ci piacevano e abbiamo iniziato a raccontarle nelle nostre canzoni”.
Uscito nel 2020, presentato in numerosi festival in Italia e all’estero, e oggi disponibile all’interno del cofanetto “Questi anni” edito dal collettivo Stella Nera (che include pure un libro e l’omonimo CD live della reunion di un anno prima), “Se ho vinto se ho perso” racconta la storia della più atipica formazione hardcore italiana e quella personale di Sergio Milani, Gianpiero Capra e Alberto Ventrella perché - come il regista tiene a sottolineare - ciò che ha reso “i Kina davvero interessanti – forse unici – nel panorama underground europeo è proprio l’impossibilità di separare la musica dalla vita, il bisogno di espressione dal quotidiano”. Nel film tutto questo si coglie benissimo, dalle parole dei tre protagonisti raccolte oggi e dai vecchi frammenti video di tour passati. […]

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