Keiji Haino
Keiji Haino
di Leonardo Marrone

Fukuoka, 18 e 19 ottobre 2019

Un mistico, un incantatore. Un illuminato, un folle. Un veggente, un reazionario. Mistero buffo, filosofo e filantropo. Il virtuoso, il primitivista. Haino sembra tutte queste cose assieme parlandoci e soprattutto ascoltando in musica, dal vivo, cosa di eccezionale ha (da) sempre da proporre. Ha l’aspetto di uno spettro uscito da un kaidan, impenetrabile dietro un paio di improbabili Ray Ban che non si toglie MAI e che non sembrano metterlo in difficoltà nemmeno nel buio più pesto che ingoia il tragitto che ci separa dal club dove si è esibito fino a un izakaya dove ci rechiamo a bere e a festeggiare il concerto appena concluso. Si poggia su un bastone, è filiforme, gesticola, i suoi capelli che durante il live erano fili d’argento colmi di elettricità, gonfi come i peli di un gatto infuriato o le parrucche degli attori di danza nel Kabuki, scivolano ora crespi, di un grigio topo irreale, appiccicati, alle spalle, come serpenti di una medusa stanca. La sua voce passa da toni bassissimi a guizzi acuti, recita più che spiegare. Sembra essere ancora sul suo palco. Lo fa benissimo, arrotondando la sua spigolosità con giochi di parole e scherzi. L’intolleranza ai King Crimson pari soltanto a quella per il cavolo cinese, che ora galleggia melmoso in una delle pietanze locali che ci servono, pare all’improvviso la chiave di volta della sua filosofia a volte sorprendentemente “normale” se non ovvia; altre volte di una visionarietà che spazza via ogni altra riflessione a priori. Un mito vivente, sì, un mito perché immagine eterna e idealizzata (in Occidente) del “vecchio saggio orientale”, vivo e ispirato, con tutti i difetti ben in evidenza e incancreniti, derivati da una eccessiva determinazione e sicurezza nello stato dell’Arte, ovviamente la sua. Lo ascoltiamo, lo leggete. Quindici anni fa Alan Cummings lo intervistò per noi a Parigi, stavolta l’incontro si svolge in Giappone. Nel frattempo oltre agli anni sono passate a cambiate tante cose... ma come dice Haino che odia i cambiamenti in quanto generati sempre da forze esterne e quindi coercitivi, è più lecito parlare di mutazioni (quelle che avvengo nel DNA naturalmente, “casualmente” e permettono la sopravvivenza e la rigenerazione) rimanendo fedeli al proprio sentire, essere e apparire. […]

…segue per 14 pagine nel numero 265 di Blow Up, in edicola a giugno 2020

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