In questo eterno presente...
In questo eterno presente...
di Fabio Donalisio
Ovvero: scomodare ancora una volta la fedeltà alla linea per riscoprire (per l'ennesima, attoniti...) che la linea non c'è. Fa quasi tenerezza – se non ci fosse di mezzo il mercato, as usual – provare a seguire (una volta si sarebbe detto: appassionarsi) la pletora di uscite librarie che mensilmente provano ad attaccare gli assi portanti dell'indigeribilità del presente. Menti necessariamente novecentesche (e l'anagrafe qui purtroppo conta) che si spremono, si contorcono (e a tratti si adagiano) nell'interpretazione dell'incomprensibile oggi. Con un plausibile discrimine interno tra i costernati, e gli entusiasti. I primi, maggioritari, constatano, senza farsene una ragione, il crollo delle fondamenta portanti di un illuminismo che credevano infinito (con parecchie contraddizioni interne, il caso più attestato è quello del confuso immaginario egualitario che continuiamo a chiamare sinistra, abbondantemente estromesso dal gioco politico, almeno da quello rappresentativo; ma non mancano misantropi solitari); al secondo appartengono gli speranzosi di saltare su un carro vincente, qualunque esso sia. Si tratta, peraltro, di un naturale istinto di sopravvivenza, non del tutto esecrabile. E si costringono a osannare tecnologie che hanno imparato come una lingua due, si fanno profetici. Nei casi più emblematici attivano una sorta di filtro selettivo che impedisce loro di nominare le catastrofi, preferendo le magnifiche sorti. Postmoderni che in mancanza di meglio si sono fatti ottimisti per forza maggiore, o per convenienza (si vedano le discettazioni bianchiniane su The game apparse qui qualche mese fa). Dei “giovani”, ovvero di quelli che potrebbero forse parlare del loro presente con più cognizione di causa, poco sappiamo. Un po' per anagrafe, certo. Un po' per il solidissimo – quello sì – sbarramento all'ingresso dell'editoria per i non accreditati (non sempre settato sulla qualità); un po' forse, perché una mente non novecentesca preferisce altri canali, altri mezzi e altri messaggi che, ahinoi, fatichiamo a tenere sotto i radar. La nostra bussola di vetusti lettori di libri diventa, quindi, il modo in cui i circa quarantenni (la generazione di mezzo), interpreta i concetti chiave dello Zeitgeist. “Chiave” di porte che non sembrano aprirsi, semmai moltiplicarsi. E, per non saper né leggerle né scriverle, si limitano a fare paura. […]
…segue per 6 pagine nel numero 256 di Blow Up, in edicola a settembre 2019
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Ogni mese Blow Up propone monografie, interviste, articoli, indagini e riflessioni su dischi, libri, film, musicisti, autori letterari e cinematografici scritti dalle migliori penne della critica italiana.
Ovvero: scomodare ancora una volta la fedeltà alla linea per riscoprire (per l'ennesima, attoniti...) che la linea non c'è. Fa quasi tenerezza – se non ci fosse di mezzo il mercato, as usual – provare a seguire (una volta si sarebbe detto: appassionarsi) la pletora di uscite librarie che mensilmente provano ad attaccare gli assi portanti dell'indigeribilità del presente. Menti necessariamente novecentesche (e l'anagrafe qui purtroppo conta) che si spremono, si contorcono (e a tratti si adagiano) nell'interpretazione dell'incomprensibile oggi. Con un plausibile discrimine interno tra i costernati, e gli entusiasti. I primi, maggioritari, constatano, senza farsene una ragione, il crollo delle fondamenta portanti di un illuminismo che credevano infinito (con parecchie contraddizioni interne, il caso più attestato è quello del confuso immaginario egualitario che continuiamo a chiamare sinistra, abbondantemente estromesso dal gioco politico, almeno da quello rappresentativo; ma non mancano misantropi solitari); al secondo appartengono gli speranzosi di saltare su un carro vincente, qualunque esso sia. Si tratta, peraltro, di un naturale istinto di sopravvivenza, non del tutto esecrabile. E si costringono a osannare tecnologie che hanno imparato come una lingua due, si fanno profetici. Nei casi più emblematici attivano una sorta di filtro selettivo che impedisce loro di nominare le catastrofi, preferendo le magnifiche sorti. Postmoderni che in mancanza di meglio si sono fatti ottimisti per forza maggiore, o per convenienza (si vedano le discettazioni bianchiniane su The game apparse qui qualche mese fa). Dei “giovani”, ovvero di quelli che potrebbero forse parlare del loro presente con più cognizione di causa, poco sappiamo. Un po' per anagrafe, certo. Un po' per il solidissimo – quello sì – sbarramento all'ingresso dell'editoria per i non accreditati (non sempre settato sulla qualità); un po' forse, perché una mente non novecentesca preferisce altri canali, altri mezzi e altri messaggi che, ahinoi, fatichiamo a tenere sotto i radar. La nostra bussola di vetusti lettori di libri diventa, quindi, il modo in cui i circa quarantenni (la generazione di mezzo), interpreta i concetti chiave dello Zeitgeist. “Chiave” di porte che non sembrano aprirsi, semmai moltiplicarsi. E, per non saper né leggerle né scriverle, si limitano a fare paura. […]
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TUTTLE Edizioni - P.iva 01637420512 - iscrizione rea n. 127533 del 14 Gennaio 2000