House Archives
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Christian Zingales

L’house sta vivendo la sua crisi ma durante questa transizione alcune delle pagine sacre del genere vengono raccolte in CD molto ben curati.

[nella foto: Cajmere, al centro, con la Cajual/Relief gang, circa 1995, da sinistra a destra, tra gli altri, Gene Farris, DJ Sneak, Glenn Underground, Johnny Fiasco, Tim Harper, Boo Williams]


ARRIVA VIA E-MAIL una di queste tonnellate di promozioni house, recita “Kris Wadsworth on Hypercolour, you know what to expect”. Il problema dell’house di oggi è che sai sempre cosa aspettarti. L’ormai veterano I:Cube, nella coda dei ’90 wonderboy della scena francese, parla del “senso di mistero scomparso dalle tracce dance di oggi”. Si sprecano i do you remember house? e what happened? come nelle Blaze e Baxter premonizioni, house music non è più una spiritual thing come in quel manifesto che era una precedente visione meta-house, quella suprema, la ovviamente titolata House Music di Eddie Amador, perché quel senso di mistero che governava l’inafferrabilità del materiale di ieri era implicitamente esperienza spirituale. Lo ricorda bene Andy Butler di Hercules And Love Affair (tra l’altro destinatario dieci anni fa dell’abissale Birthday Song – For Andy di Derrick Carter) che introducendo il suo mixato per la serie “DJ Kicks” della !K7 dice che il tentativo era “includere un aspetto spirituale, perché i club, oltre la loro superficie stupida, sono posti dove puoi vivere esperienze religiose, ed era così per me quando andavo a sentire DJ come Francois Kevorkian e mi portava letteralmente da un’altra parte. C’erano sere in cui mi riducevo uno straccio ballando per ore e la gente mi chiedeva cosa avessi preso, e gli spiegavo che non avevo preso assolutamente niente, avevo avuto un momento spirituale”.
Il presente è diventato quanto di meno spirituale o erotico si possa immaginare, un diluvio di suoni standardizzati e massificati, di you know what to expect branditi con sciapa fierezza (lontana la militanza belligerante degli hardcore you know the score), in un’orgetta impiegatizia e basso carrieristica di produttori da catena di montaggio, con i loro interlocutori industriali che rassicurano la peggiore audience da sempre, quella che salta in Internet da una cazzata all’altra senza dare senso a mezza cosa, dicendo “tranquilli, ci conoscete, sapete cosa aspettarvi”, tipo “anche stavolta non vi stupiremo con effetti speciali”, i meccanismi della macchina ben oliati, industria artista e pubblico diversamente pagante ingranaggi di automatismi a vuoto.
Dobbiamo quindi rassegnarci a considerare l’house religione di un tempo passato, con gli sprofondi che il termine implica, e quindi non solo qualcosa di serio e intenso che andava in scena ieri, ma il culto di qualcosa tanto rassicurante e inamovibile da essere scalfito a colpi di oleografia la più scadente? Dobbiamo affidare tutto alla memoria, l’uscita di quel nuovo pezzo o remix che scatenava ansie meravigliose, l’ascolto che faceva tremare dall’emozione andando poi a palesare un senso di mistero che rimaneva tale e non svaniva man mano che la conoscenza fortificava la passione del viaggio, o il senso di consapevolezza anche nel vivere suoni e culture, con prese di posizioni che traducevano presto inclinazioni estetiche in antropologia (ricordiamo il da noi combattuto ma bellissimo integralismo della scena techno romana nell’esercitare una opposizione senza se e senza ma verso l’house newyorchese o qualsiasi cosa ne mutuasse vaghi elementi, il pezzo techno abrasivo che è ok ma il charleston in levare non va bene), dobbiamo accettare che in questo clima da it’s good enough for me a prescindere a fare le spese sia il presente di questa musica, ma prima ancora, visto che il presente ha sempre una possibilità di appello, la sua storia gloriosa? […]


…segue per 4 pagine nel numero 174 di Blow Up, in edicola nel mese di novembre 2012 al costo di 6 euro.

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