Hawkwind
Hawkwind
di Valerio Mattioli

“Un sacco di merda idiota è stata scritta sugli Hawkwind da gente che non li ha mai sentiti. Per capire gli Hawkwind, dovevi essere a Londra nel 1972 nella scena freak: eravamo dei grandi, cazzo”.
Lemmy

CERTE VOLTE ho come lʼimpressione che gli Hawkwind non siano presi sul serio. O meglio, che sul serio non siano stati presi mai. Una banda di sedicenti guerriglieri cosmici che in astronave vengono a salvare il pianeta Terra a furia di LSD e schitarrate di serie B: messa così, roba buona per un film Troma. Però è strano, penso io. Voglio dire, parliamo di un gruppo che tra le sue fila ha visto militare intellettuali come Michael Moorcock, artisti come Barney Bubbles, poeti come Robert Calvert, nonché icone imperiture come Ian Fraser Kilmister, meglio noto come Lemmy. E lo stesso, per la compianta Carol Clerk, la loro vicenda resta “più Spinal Tap di Spinal Tap”: un film comico, in parole semplici. Musicalmente, secondo un altro peso massimo della critica anglofona come Nick Kent, “non erano granché, a meno che tu non fossi fatto”. E qui non dico che abbia ragione, però lo capisci: raramente, nella storia del pop, un gruppo ha finito per immedesimarsi a tal punto con la cultura della droga; fanno testo le parole di Lemmy: “per gli Hawkwind, la droga era un elemento assolutamente cruciale. Magari senza droga sarebbero esistiti comunque, ma non sarebbero stati gli stessi”. Secondo Nik Turner, “i nostri concerti erano come delle convention per spacciatori”, e Dave Anderson riassume una delle loro tipiche giornate lavorative così: “Mandrax per calmarti, Dexedrina per eccitarti, acidi per sballarti, e fumo per rilassarti”. Eccoli, gli Hawkind: un mucchio di tossici impegnati a prolungare allʼinfinito lʼidillio chimico dei Sessanta, dei freak fuori tempo massimo fissati con la fantascienza, dei simpatici caratteristi, gli alfieri buzzurri dello space rock. A rileggerne le gesta, fanno quasi tenerezza. […]

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