Godspeed You! Black Emperor.
Godspeed You! Black Emperor.
di Daniele Rosa

“Il militante ebreo affronta una difficile lotta per liberare l’ebreo dalla sua duplice sofferenza, come ebreo e come essere umano. Anche così, egli abbatterà le mura del vecchio ghetto e quelle del nuovo, e si unirà ai combattenti per la libertà di tutte le nazioni per lottare per l’uguaglianza dei diritti di tutte le persone, indipendentemente dal sesso, dal colore e dalla nazionalità, e per l’umanizzazione di tutti i popoli e la loro unificazione in una grande famiglia di popoli: l’umanità!”
(Der Yidisher Kempfer, “il militante ebreo”, rivista edita negli Stati Uniti dalla locale estensione del partito marxista-sionista Poale Zion, 30 marzo 1906)

“La verità è che si può parlare di una “nazione ebrea” solo in senso spirituale … Discettare su quale forma avrebbe preso la cultura ebraica se gli ebrei avessero sempre vissuto nella loro terra, o quale forma prenderebbe se vi tornassero, è pura congettura … L’ebreo di oggi è l’ebreo della diaspora. La sua cultura, la sua civiltà, il suo “spirito”, non sono perciò ebrei ma occidentali. Parlare di uno “spirito” ebraico che può prosperare sul suolo della Palestina è puro nonsenso…”
(Jacob Milch, pioniere del movimento operaio ebraico, “New Movementes amongst the Jewish Proletariat”, International Socialist Review, dicembre 1906)

“La giustizia, solo la giustizia seguirai, affinché tu viva e possieda il paese che l’Eterno, il tuo Dio, ti dà”
(Devarim [Deuteronomio], 16:20)

צדק
(Tzedek)

C’era una volta, nel piccolo shtetl di Zalmenivke, un gruppo di musicisti ebrei che suonava insieme da molti anni. C’erano Shlomo il violinista, con i suoi capelli d’argento che brillavano al fuoco delle candele, Rivka, che faceva danzare il clarinetto come se ogni nota fosse una preghiera, Yankel il tamburino, e Moishe, che con il suo contrabbasso sembrava far risuonare la terra stessa. La loro musica scaldava i cuori nelle gelide notti d’inverno, e quando le tasse dello zar diventavano troppo pesanti, le loro melodie erano un rifugio per gli animi stanchi.
Un giorno, mentre discutevano attorno al fuoco, giunse un messaggero da una città lontana. Portava con sé un appello: “Unitevi alla causa! Noi ebrei meritiamo una terra nostra, una terra promessa dove non saremo più stranieri!”. I musicisti si guardarono tra loro, perplessi. Una terra promessa? Ma non l’avevano forse già trovata tra le note della loro musica e nel calore della loro comunità? […]

…segue per 4 pagine nel numero 317 di Blow Up, ottobre 2024

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