Giorgio Moroder
Giorgio Moroder
Christian Zingales
A 73 anni GIORGIO MORODER è di nuovo l’uomo del momento con i Daft Punk che gli erigono un monumento in “Random Access Memories” e una serie di ristampe e raccolte sulla tedesca Repertoire. E mentre tutti ora vogliono collaborare con lui, questa è una full immersion nella sua discografia solista, un repertorio che ha cambiato i connotati del suono come lo conosciamo.
“La rivoluzione non è un pranzo di gala; non è un’opera letteraria, un disegno, un ricamo; non la si può fare con altrettanta eleganza, tranquillità e delicatezza, o con altrettanta dolcezza, gentilezza, cortesia, riguardo e magnanimità. La rivoluzione è un’insurrezione, un atto di violenza con il quale una classe ne rovescia un'altra” (Mao Tse-Tung)
IL SUO NOME è Giovanni Giorgio, ma tutti lo chiamano Giorgio, come nella teatralizzazione dei Daft Punk, che hanno voluto erigergli un monumento per l’adorazione ma poi perché l’hanno sempre visto “come un grande enigma”. Moroder ha fatto della sua extraterritorialità, Alto Adige, Sud Tirolo, la premessa per giochi genetici rutilanti, ricreare in Europa la black music respirata nei dischi della Motown, nel Philly sound e nella disco con un Frankestein come Donna Summer e con la azione da guerriglia sonica della Munich Machine, sfruttare gli stereotipi italiani apparendo nei ’70 baffuto stile Alfasud lui di Ortisei, la sua italianità pure tipica ma di respiro, di mondo, cosmopolita, e quindi l’approdo americano, verso l’industria hollywoodiana, le colonne sonore, il progetto di una musica che esce da sé stessa e diventa immagine, la comprensione violenta degli ’80, e poi la gestione aristocratica dei suoi traguardi, un paio di decenni abilmente di retrovia, la febbre che intorno a lui nel frattempo cresce esponenzialmente, oggi esplodendo nel tributo daftpunkiano, nella Repertoire che fa uscire una serie golosa di ristampe e raccolte, lui che si schermisce e dice di non essere mai stato così richiesto.
Nella abissale fondazione-voragine settantasettina I Feel Love, la voce-utero di Donna Summer violentata dalla più offensiva scossa elettronica di tutti i tempi, moroderiano diventa storicamente una sorta di graffio punk, agevolato dalla naturalità spiccia e animalesca del gesto, confermato dallo stesso Giorgio quando l’anno scorso in una conferenza organizzata a Ibiza un nerd gli chiese come aveva forgiato quel suono incredibile, e lui (all’italiana) mimò ridendo il gesto di pigiare vigorosamente un bottone, era un suono e l’ho trovato, niente di che si schermiva ancora. Ma guardandolo da vicino moroderiano si rivela sfaccettata wonderland sonica dove la supervisione del grande artigiano italico diventa propulsione di una gara di musica totale, solo incidentalmente dance o di corredo visuale. Un processo guidato con la stazza dell’architetto di mondi, dell’artista rinascimentale, il grande timoniere che dalla gavetta canzonettara dei ’60 attraverso l’incontro con i sintetizzatori dei ’70 e la messa a fuoco di un cantiere di lavoro personale, fino alle commissioni hollywoodiane degli ’80 e l’influenza sulle evoluzioni della dance, da house e techno a quanto seguirà, ha sempre veicolato un’idea di suono che mentre si compie non ha ambizioni particolari se non un contingente standard qualitativo e la competitività industriale, ma la magia che viene a compiersi è proprio lì dove l’assenza di ambizione artistica si sublima in un rovesciamento del gesto musicale, che diventa senso sonoro sopra l’arte, demolendo al di là degli steccati di genere i canoni borghesi della musicalità e conquistando il potere. Il basso? Anche incidentalmente un punto dove si parte per puntare l’alto ma soprattutto un’inevitabile piega del linguaggio, che si esprime sovente in un mix apparentemente incestuoso ma naturalissimo tra radicalità e comunicazione popular, oltre che un tic necessario dell’arte di vendere i dischi. E, al di là della sconfinata produzione che, da Donna Summer ai Sigue Sigue Sputnik passando per Sparks, Japan e tremila altri, vedrete trattata su queste pagine in futuro, che dischi ha fatto Moroder, dischi suoi intendiamo, quelli da artista? […]
…segue per 8 pagine nel numero 181 di Blow Up, in edicola nel mese di Giugno 2013 al costo di 6 euro.
• Se non lo trovate in edicola potete ordinarlo direttamente dal nostro sito (BU#181) al costo di 10 euro - spese postali incluse - e vi verrà spedito immediatamente via posta prioritaria. Se lo richiedete dopo il mese di riferimento dell’uscita vi verrà spedito, come ogni altro arretrato, con l’invio mensile di abbonamenti e arretrati.
• Il modo migliore, più rapido, sicuro ed economico per avere Blow Up è l’abbonamento: risparmiate minimo 16 euro sul prezzo di copertina e avete la certezza di non perdere neanche uno dei numeri pubblicati garantendovi tutti gli eventuali allegati e i numeri speciali; in caso di eccessivo ritardo o smarrimento postale ve lo spediremo di nuovo.
Ogni mese Blow Up propone monografie, interviste, articoli, indagini e riflessioni su dischi, libri, film, musicisti, autori letterari e cinematografici scritti dalle migliori penne della critica italiana.
“La rivoluzione non è un pranzo di gala; non è un’opera letteraria, un disegno, un ricamo; non la si può fare con altrettanta eleganza, tranquillità e delicatezza, o con altrettanta dolcezza, gentilezza, cortesia, riguardo e magnanimità. La rivoluzione è un’insurrezione, un atto di violenza con il quale una classe ne rovescia un'altra” (Mao Tse-Tung)
IL SUO NOME è Giovanni Giorgio, ma tutti lo chiamano Giorgio, come nella teatralizzazione dei Daft Punk, che hanno voluto erigergli un monumento per l’adorazione ma poi perché l’hanno sempre visto “come un grande enigma”. Moroder ha fatto della sua extraterritorialità, Alto Adige, Sud Tirolo, la premessa per giochi genetici rutilanti, ricreare in Europa la black music respirata nei dischi della Motown, nel Philly sound e nella disco con un Frankestein come Donna Summer e con la azione da guerriglia sonica della Munich Machine, sfruttare gli stereotipi italiani apparendo nei ’70 baffuto stile Alfasud lui di Ortisei, la sua italianità pure tipica ma di respiro, di mondo, cosmopolita, e quindi l’approdo americano, verso l’industria hollywoodiana, le colonne sonore, il progetto di una musica che esce da sé stessa e diventa immagine, la comprensione violenta degli ’80, e poi la gestione aristocratica dei suoi traguardi, un paio di decenni abilmente di retrovia, la febbre che intorno a lui nel frattempo cresce esponenzialmente, oggi esplodendo nel tributo daftpunkiano, nella Repertoire che fa uscire una serie golosa di ristampe e raccolte, lui che si schermisce e dice di non essere mai stato così richiesto.
Nella abissale fondazione-voragine settantasettina I Feel Love, la voce-utero di Donna Summer violentata dalla più offensiva scossa elettronica di tutti i tempi, moroderiano diventa storicamente una sorta di graffio punk, agevolato dalla naturalità spiccia e animalesca del gesto, confermato dallo stesso Giorgio quando l’anno scorso in una conferenza organizzata a Ibiza un nerd gli chiese come aveva forgiato quel suono incredibile, e lui (all’italiana) mimò ridendo il gesto di pigiare vigorosamente un bottone, era un suono e l’ho trovato, niente di che si schermiva ancora. Ma guardandolo da vicino moroderiano si rivela sfaccettata wonderland sonica dove la supervisione del grande artigiano italico diventa propulsione di una gara di musica totale, solo incidentalmente dance o di corredo visuale. Un processo guidato con la stazza dell’architetto di mondi, dell’artista rinascimentale, il grande timoniere che dalla gavetta canzonettara dei ’60 attraverso l’incontro con i sintetizzatori dei ’70 e la messa a fuoco di un cantiere di lavoro personale, fino alle commissioni hollywoodiane degli ’80 e l’influenza sulle evoluzioni della dance, da house e techno a quanto seguirà, ha sempre veicolato un’idea di suono che mentre si compie non ha ambizioni particolari se non un contingente standard qualitativo e la competitività industriale, ma la magia che viene a compiersi è proprio lì dove l’assenza di ambizione artistica si sublima in un rovesciamento del gesto musicale, che diventa senso sonoro sopra l’arte, demolendo al di là degli steccati di genere i canoni borghesi della musicalità e conquistando il potere. Il basso? Anche incidentalmente un punto dove si parte per puntare l’alto ma soprattutto un’inevitabile piega del linguaggio, che si esprime sovente in un mix apparentemente incestuoso ma naturalissimo tra radicalità e comunicazione popular, oltre che un tic necessario dell’arte di vendere i dischi. E, al di là della sconfinata produzione che, da Donna Summer ai Sigue Sigue Sputnik passando per Sparks, Japan e tremila altri, vedrete trattata su queste pagine in futuro, che dischi ha fatto Moroder, dischi suoi intendiamo, quelli da artista? […]
…segue per 8 pagine nel numero 181 di Blow Up, in edicola nel mese di Giugno 2013 al costo di 6 euro.
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TUTTLE Edizioni - P.iva 01637420512 - iscrizione rea n. 127533 del 14 Gennaio 2000