Future Sound Of London
Future Sound Of London
di Christian Zingales
SI TENDE a collegare i Future Sound Of London al periodo aureo dell’elettronica crossover inglese dei ’90, ma in realtà la storia di Brian Dougans e Gary Cobain prosegue oggi con ispirazione costante, oltre il mantenimento ancora capace di picchi fiammeggianti. Una storia che comincia nella seconda metà degli ’80. Dougans, scozzese, di Glasgow, testa pelata, tanta attitudine alla cartina e zero alla chiacchiera, parte da solo con uno dei primi progetti acid-house in UK, Humanoid, subito artefice di un singolo strike come Stakker Humanoid, ’88, con cui finisce anche a Top Of The Pops, e di un album classico come “Global”, ‘89. Di lì a poco incontra sulla sua strada l’invece ciarliero e dandy Cobain, di Manchester, muovono verso Londra e scoprono di completarsi artisticamente, con Brian a rappresentare la tecnica, il controllo produttivo, e Gary ad aprire un mondo sensibile di suggestioni possibilità e sonorità più armoniche. Come lo definiranno, anzi come lo definirà Gary visto che Brian non parla, un perfetto yin e yang tra mascolino e femmineo. Fatto sta che i primi ’90 sono territorio di conquista, decine di produzioni con diversi moniker scompigliano l’epoca del rave sound creando un ponte che collega i suoni del breakbeat e dell’hardcore pre-jungle con le tessiture più profonde e scientifiche della techno di Detroit e gli slanci estatici dell’house. Partono i FSOL e vanno in orbita con il primo singolo Papua New Guinea, incredibile crossover tra etno, dub, rave e ambient, seguito dal primo album “Accelerator”. Dal successivo “Lifeforms” il suono espande in modo paradossale, elefantiaco mix di onnipotenza e manie di grandezza, creazione di studio e sampledelia multistrato, oscurità ambient e ritmi, qualcosa che evoca un nuovo tipo di prog declinato con una vena punk. Un suono che va lì a collocarsi in un post-mondo a metà, per immaginario e atmosfere, tra “Blade Runner” e il gabrieliano “Passion”, plumbei sguardi apocalittici con euforico diluviare di decadenze e vuoti metropolitani da un lato, e il mistero stesso dell’esistenza affrescato nel gesto più violentemente fisico e terrigno, tra aliti di morte incombente e trasfigurazioni, la spiritualità un’ipotesi in fondo a un tunnel parecchio oscuro. Ecco sembra che i FSOL lì in mezzo ambientino la loro vita, che si snoda in un lavoro di produzione ossessivo, questa grande macchia sonica che si autofagocita tanto è immensa, pezzi su pezzi, oltre il dettaglio stilistico un mood inconfondibile, questi gabbiani che punteggiano i cieli del musicato come angeli animali, materiale nei crediti sempre sigillato dal fantomatico ingegnere del suono Yage, dal nome del bolide allucinogeno, Yage che sono sempre Brian e Gary. […]
…segue per 10 pagine nel numero 200 di Blow Up, in edicola a Gennaio 2015 al costo di 8 euro: numero speciale “The Solar Issue” di 196 pagine!
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Ogni mese Blow Up propone monografie, interviste, articoli, indagini e riflessioni su dischi, libri, film, musicisti, autori letterari e cinematografici scritti dalle migliori penne della critica italiana.
SI TENDE a collegare i Future Sound Of London al periodo aureo dell’elettronica crossover inglese dei ’90, ma in realtà la storia di Brian Dougans e Gary Cobain prosegue oggi con ispirazione costante, oltre il mantenimento ancora capace di picchi fiammeggianti. Una storia che comincia nella seconda metà degli ’80. Dougans, scozzese, di Glasgow, testa pelata, tanta attitudine alla cartina e zero alla chiacchiera, parte da solo con uno dei primi progetti acid-house in UK, Humanoid, subito artefice di un singolo strike come Stakker Humanoid, ’88, con cui finisce anche a Top Of The Pops, e di un album classico come “Global”, ‘89. Di lì a poco incontra sulla sua strada l’invece ciarliero e dandy Cobain, di Manchester, muovono verso Londra e scoprono di completarsi artisticamente, con Brian a rappresentare la tecnica, il controllo produttivo, e Gary ad aprire un mondo sensibile di suggestioni possibilità e sonorità più armoniche. Come lo definiranno, anzi come lo definirà Gary visto che Brian non parla, un perfetto yin e yang tra mascolino e femmineo. Fatto sta che i primi ’90 sono territorio di conquista, decine di produzioni con diversi moniker scompigliano l’epoca del rave sound creando un ponte che collega i suoni del breakbeat e dell’hardcore pre-jungle con le tessiture più profonde e scientifiche della techno di Detroit e gli slanci estatici dell’house. Partono i FSOL e vanno in orbita con il primo singolo Papua New Guinea, incredibile crossover tra etno, dub, rave e ambient, seguito dal primo album “Accelerator”. Dal successivo “Lifeforms” il suono espande in modo paradossale, elefantiaco mix di onnipotenza e manie di grandezza, creazione di studio e sampledelia multistrato, oscurità ambient e ritmi, qualcosa che evoca un nuovo tipo di prog declinato con una vena punk. Un suono che va lì a collocarsi in un post-mondo a metà, per immaginario e atmosfere, tra “Blade Runner” e il gabrieliano “Passion”, plumbei sguardi apocalittici con euforico diluviare di decadenze e vuoti metropolitani da un lato, e il mistero stesso dell’esistenza affrescato nel gesto più violentemente fisico e terrigno, tra aliti di morte incombente e trasfigurazioni, la spiritualità un’ipotesi in fondo a un tunnel parecchio oscuro. Ecco sembra che i FSOL lì in mezzo ambientino la loro vita, che si snoda in un lavoro di produzione ossessivo, questa grande macchia sonica che si autofagocita tanto è immensa, pezzi su pezzi, oltre il dettaglio stilistico un mood inconfondibile, questi gabbiani che punteggiano i cieli del musicato come angeli animali, materiale nei crediti sempre sigillato dal fantomatico ingegnere del suono Yage, dal nome del bolide allucinogeno, Yage che sono sempre Brian e Gary. […]
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TUTTLE Edizioni - P.iva 01637420512 - iscrizione rea n. 127533 del 14 Gennaio 2000