Francesco Permunian
Francesco Permunian
di Alice Pisu

Nelle pagine di un libro rimasto a lungo introvabile, Cronaca di un servo felice, compare una figura che ogni sera celebra una messa in suffragio dei morti per invocare un dio nascosto, in un brusio di «ombre piene di vento e di nulla». L’esordio di Francesco Permunian (oggi ripubblicato con Camminando nell’aria della sera nel volume Costellazioni del crepuscolo, il Saggiatore), è un elogio del rimorso come mezzo per avvicinarsi alle tenebre, la celebrazione di una vergogna crudele che placa gli uomini allucinati dal dolore affinché asciughino lacrime germogliate “dai campi immensi dell’oblio”. Una storia di follie e macerie, di aristocrazia in disfacimento e miserie, di desideri feroci e incubi, di vanità intellettuali e perversioni celate dietro paramenti sacri. L’opera subì trentadue rifiuti. Uscì nel 1999 per Meridiano zero, che pensava di pubblicare un pulp-noir. Questo fraintendimento favorì la prima vera attenzione da parte di altri editori verso un autore che già da vent’anni si dedicava alla poesia. Rileggere oggi quest’opera permette di riconoscere la dorsale che nei decenni successivi avrebbe attraversato la produzione poetica e in prosa di Permunian: il piccolo mondo borghese, la corruzione dei valori, il potere e il suo abuso, la vacuità dei salotti letterari. Tra indecenze senili e ipocrisie di una nobiltà frantumata, l’autore si interroga sulla generale dissipazione culturale e sociale a partire da un costante ricorso alla morte scorta nel succedersi delle stagioni, nel tempo non replicabile volto al nulla, nei cadaveri in disfacimento. L’esordio tardivo si inserisce nel sofferto percorso professionale e personale di un autore paragonato a Comisso, Parise, Berto, Piovene, e definito da Luca Doninelli «disperato nel contenuto, ma bizzarramente festoso nella forma». Francesco Permunian è tra le poche voci letterarie italiane realmente dissonanti, capace di esplorare forme diverse, dal memoir al romanzo, dai racconti ai sillabari alle prose poetiche – quasi sempre accompagnate da un possente apparato iconografico con collaborazioni con Mario Dondero, Duilio Avezzù, Pino Mongiello, Roberto Abbiati –, a partire da una continua rielaborazione dolorosa e beffarda della memoria che spesso assume le sembianze di un personale zibaldone. […]

…segue per 2 pagine nel numero 318 di Blow Up, novembre 2024

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