"Extreme Soundscape"
"Extreme Soundscape"
Leandro Pisano
Da “Sound from dangerous place” di PETER CUSACK alle registrazioni in Novaya Zemlya di THOMAS KÖNER, fino al field recording artico di DOUGLAS QUIN: l’esplorazione dei luoghi “estremi” del pianeta attraverso il suono.
[nell'immagine: Thomas Koner, foto di Ivana Neimarevic]
A TRENTACINQUE ANNI dalla definizione della teoria del ‘soundscape’, così come elaborata da Raymond Murray Schafer e poi dai soundscape studies, lo studio (estetico e/o scientifico) del paesaggio sonoro continua ad offrire prospettive complesse in cui il suono, inteso in una serie di accezioni diverse (come fenomeno, come canale di comunicazione, come elemento di scambio intersoggettivo), rappresenta un elemento privilegiato di indagine su diversi livelli: politico, sociologico, antropologico. La spinta verso un sapere totalizzante, verso un’archiviazione compulsiva ed acritica delle informazioni, come ha osservato recentemente Salomé Voegelin (Inframedia su BU#166), ha portato attenzione verso luoghi considerati da sempre come abbandonati, marginalizzati, estremi, svelando nel contempo l’ingannevolezza della prospettiva inclusiva dell’approccio digitale, quando si parla dell’esperienza di questi luoghi, piuttosto che della loro reale conoscenza. Il lavoro di Peter Cusack, Thomas Köner e Douglas Quin, attraverso un field recording intriso di aspetti poetici e letterari, inverte questa prospettiva culturale, facendo allo stesso tempo luce su aspetti controversi della geografia delle devastazioni compiute dall’uomo a diverse latitudini: le piattaforme petrolifere sul mar Caspio, l’area radioattiva di Chernobyl, i siti nucleari in Novaya Zemlya, Artide ed Antartide come simboli dell’inquinamento globale, a più livelli, del pianeta. Le registrazioni e le esplorazioni fonografiche compiute da questi sound artist evocano un senso altro di questi luoghi, che ha poco a che vedere con la conoscenza, ma si concentra totalmente sull’esperienza: studiare paesaggi sonori con uno specifico significato concettuale, politico e sociale.
Peter Cusack
La dicotomia tra la visione estetica e la conoscenza della pericolosità di un luogo, sotto diversi punti di vista (inquinamento, ingiustizia sociale, militare o disagio geopolitico) è il filo conduttore del lavoro di ricerca condotto da Peter Cusack in “Sounds from dangerous places”, che si concentra su una serie di registrazioni effettuate all’interno di siti significativi tra Azerbaigian (le stazioni petrolifere sul Mar Caspio), l’area di Chernobyl ed una serie di siti in Gran Bretagna. “Ho pensato di dedicarmi a questo progetto”, esordisce il sound artist inglese di stanza a Berlino, “nel momento in cui viaggiavo nella zona del mar Caspio ed in Azerbaigian ed un giorno ho visitato una stazione petrolifera. Ho trovato questo luogo particolarmente affascinante dal punto di vista sonoro e visivo: il mare, le apparecchiature molto vecchie e non tutte funzionanti. L'impressione era nel complesso quella di aver scoperto inaspettatamente un enorme parco di sculture, in cui tutti i macchinari creavano un'atmosfera fantastica. Non sapevo cosa fosse accaduto in questo luogo, ma la cosa che mi ha colpito è stata notare come nell'area immediatamente circostante vivessero delle persone, degli animali, e tutto era inquinato, l'aria intrisa dell'odore del petrolio. Ho compreso che la mia interpretazione estetica di quella situazione, influenzata profondamente dalla cultura occidentale, era completamente differente dalla realtà del luogo e dall'ambiente economico e sociale. Da questo iato, da questa dicotomia nasce ‘Sound from dangerous places’. Ogni luogo, all'interno della stazione petrolifera, aveva delle caratteristiche precise, dal punto di vista sonoro, e l'atmosfera era piuttosto musicale, a causa del lavoro delle macchine, e visivamente piena di volumi scultorei. Ma in generale, tutti i luoghi raccontati in questo progetto hanno dei dettagli sonori che ne svelano la storia, le vicende che essi hanno attraversato. A Chernobyl, per esempio, camminando attorno ai resti della centrale ci sono dei boschi, tanti alberi ed una natura prolifica, lussureggiante. Si riescono ad ascoltare i suoni degli uccelli e di altri animali che popolano la foresta: sarebbe facile immaginare un luogo desolato, privo quasi di vita a causa del disastro nucleare, invece la natura continua ad esistere proprio nei luoghi infestati dalla radioattività e riusciamo a capirlo solo attraverso l'ascolto. E' chiaro che se si esamina l'aspetto relativo alla vicenda umana, la storia cambia completamente: oltre centomila persone sono state evacuate dai luoghi limitrofi alla centrale, portando con sé le tradizioni, gli usi e i costumi di un'intera popolazione sradicata. I suoni che ho raccolto nelle interviste e nei canti raccontano del dolore, della tristezza di questa privazione e dell'impatto tremendo che dal punto di vista psicologico l'evacuazione forzata ha avuto su queste persone. E' l'altra faccia della medaglia, rispetto al ritorno alla vita naturale, di cui parlavo prima, come a rimpiazzare la vita degli uomini che si è allontanata da quei luoghi: animali che non si vedevano lì da centinaia di anni sono ritornati, in maniera inaspettata. Avere un quadro complessivo dei suoni di un luogo, dunque, è fondamentale per scoprire livelli differenti e per apprendere i dettagli delle vicende vissute in loco”… […]
…segue per 6 pagine nel numero 176 di Blow Up, in edicola nel mese di Gennaio 2013 al costo di 6 euro.
• Se non lo trovate in edicola potete ordinarlo direttamente dal nostro sito (BU#176) al costo di 10 euro - spese postali incluse - e vi verrà spedito immediatamente via posta prioritaria. Se lo richiedete dopo il mese di riferimento dell’uscita vi verrà spedito, come ogni altro arretrato, con l’invio mensile di abbonamenti e arretrati.
• Il modo migliore, più rapido, sicuro ed economico per avere Blow Up è abbonarsi (abbonamento): risparmiate minimo 16 euro sul prezzo di copertina e avete la certezza di non perdere neanche uno dei numeri pubblicati garantendovi tutti gli eventuali allegati e i numeri speciali; in caso di eccessivo ritardo o smarrimento postale ve lo spediremo di nuovo.
Ogni mese Blow Up propone monografie, interviste, articoli, indagini e riflessioni su dischi, libri, film, musicisti, autori letterari e cinematografici scritti dalle migliori penne della critica italiana.
[nell'immagine: Thomas Koner, foto di Ivana Neimarevic]
A TRENTACINQUE ANNI dalla definizione della teoria del ‘soundscape’, così come elaborata da Raymond Murray Schafer e poi dai soundscape studies, lo studio (estetico e/o scientifico) del paesaggio sonoro continua ad offrire prospettive complesse in cui il suono, inteso in una serie di accezioni diverse (come fenomeno, come canale di comunicazione, come elemento di scambio intersoggettivo), rappresenta un elemento privilegiato di indagine su diversi livelli: politico, sociologico, antropologico. La spinta verso un sapere totalizzante, verso un’archiviazione compulsiva ed acritica delle informazioni, come ha osservato recentemente Salomé Voegelin (Inframedia su BU#166), ha portato attenzione verso luoghi considerati da sempre come abbandonati, marginalizzati, estremi, svelando nel contempo l’ingannevolezza della prospettiva inclusiva dell’approccio digitale, quando si parla dell’esperienza di questi luoghi, piuttosto che della loro reale conoscenza. Il lavoro di Peter Cusack, Thomas Köner e Douglas Quin, attraverso un field recording intriso di aspetti poetici e letterari, inverte questa prospettiva culturale, facendo allo stesso tempo luce su aspetti controversi della geografia delle devastazioni compiute dall’uomo a diverse latitudini: le piattaforme petrolifere sul mar Caspio, l’area radioattiva di Chernobyl, i siti nucleari in Novaya Zemlya, Artide ed Antartide come simboli dell’inquinamento globale, a più livelli, del pianeta. Le registrazioni e le esplorazioni fonografiche compiute da questi sound artist evocano un senso altro di questi luoghi, che ha poco a che vedere con la conoscenza, ma si concentra totalmente sull’esperienza: studiare paesaggi sonori con uno specifico significato concettuale, politico e sociale.
Peter Cusack
La dicotomia tra la visione estetica e la conoscenza della pericolosità di un luogo, sotto diversi punti di vista (inquinamento, ingiustizia sociale, militare o disagio geopolitico) è il filo conduttore del lavoro di ricerca condotto da Peter Cusack in “Sounds from dangerous places”, che si concentra su una serie di registrazioni effettuate all’interno di siti significativi tra Azerbaigian (le stazioni petrolifere sul Mar Caspio), l’area di Chernobyl ed una serie di siti in Gran Bretagna. “Ho pensato di dedicarmi a questo progetto”, esordisce il sound artist inglese di stanza a Berlino, “nel momento in cui viaggiavo nella zona del mar Caspio ed in Azerbaigian ed un giorno ho visitato una stazione petrolifera. Ho trovato questo luogo particolarmente affascinante dal punto di vista sonoro e visivo: il mare, le apparecchiature molto vecchie e non tutte funzionanti. L'impressione era nel complesso quella di aver scoperto inaspettatamente un enorme parco di sculture, in cui tutti i macchinari creavano un'atmosfera fantastica. Non sapevo cosa fosse accaduto in questo luogo, ma la cosa che mi ha colpito è stata notare come nell'area immediatamente circostante vivessero delle persone, degli animali, e tutto era inquinato, l'aria intrisa dell'odore del petrolio. Ho compreso che la mia interpretazione estetica di quella situazione, influenzata profondamente dalla cultura occidentale, era completamente differente dalla realtà del luogo e dall'ambiente economico e sociale. Da questo iato, da questa dicotomia nasce ‘Sound from dangerous places’. Ogni luogo, all'interno della stazione petrolifera, aveva delle caratteristiche precise, dal punto di vista sonoro, e l'atmosfera era piuttosto musicale, a causa del lavoro delle macchine, e visivamente piena di volumi scultorei. Ma in generale, tutti i luoghi raccontati in questo progetto hanno dei dettagli sonori che ne svelano la storia, le vicende che essi hanno attraversato. A Chernobyl, per esempio, camminando attorno ai resti della centrale ci sono dei boschi, tanti alberi ed una natura prolifica, lussureggiante. Si riescono ad ascoltare i suoni degli uccelli e di altri animali che popolano la foresta: sarebbe facile immaginare un luogo desolato, privo quasi di vita a causa del disastro nucleare, invece la natura continua ad esistere proprio nei luoghi infestati dalla radioattività e riusciamo a capirlo solo attraverso l'ascolto. E' chiaro che se si esamina l'aspetto relativo alla vicenda umana, la storia cambia completamente: oltre centomila persone sono state evacuate dai luoghi limitrofi alla centrale, portando con sé le tradizioni, gli usi e i costumi di un'intera popolazione sradicata. I suoni che ho raccolto nelle interviste e nei canti raccontano del dolore, della tristezza di questa privazione e dell'impatto tremendo che dal punto di vista psicologico l'evacuazione forzata ha avuto su queste persone. E' l'altra faccia della medaglia, rispetto al ritorno alla vita naturale, di cui parlavo prima, come a rimpiazzare la vita degli uomini che si è allontanata da quei luoghi: animali che non si vedevano lì da centinaia di anni sono ritornati, in maniera inaspettata. Avere un quadro complessivo dei suoni di un luogo, dunque, è fondamentale per scoprire livelli differenti e per apprendere i dettagli delle vicende vissute in loco”… […]
…segue per 6 pagine nel numero 176 di Blow Up, in edicola nel mese di Gennaio 2013 al costo di 6 euro.
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TUTTLE Edizioni - P.iva 01637420512 - iscrizione rea n. 127533 del 14 Gennaio 2000