DEPECHE MODE
DEPECHE MODE
Christian Zingales
L’avventura epica dei DEPECHE MODE.
A FIANCO A QUEL giardino delle meraviglie che è stato il pop indipendente inglese anni ’80, più o meno in dialogo con le tradizioni, c’era un altro paradiso dove troneggiava un manipolo di band non necessariamente connotate dall’outlet discografico, indie o major, gruppi che ognuno con il proprio dialetto hanno zoomato l’immagine del pop modernizzandolo nella sua idea basica di ossessione melodica, in un’urgenza del momento che ha segnato il preciso spirito di quel tempo, ma con tanta personalità da diventare classici istantanei, autori di un loro gioco inimitabile capace di incidere per generazioni. Pensiamo agli Smiths, ai Pet Shop Boys, ai Cure, anche quelli più dark, e ai Depeche Mode. Basildon, Essex, il nucleo della band è formato da Vince Clark e Andy Fletcher, entrambi tastieristi, a cui poi si affianca Martin L. Gore, pure lui tastiere (in futuro anche voce e chitarra), tutti reduci da esperienze in band giovanili da artigianato new-wave. Il cerchio è completato quando vedono questo cantante, Dave Gahan, che con un suo gruppetto fa una Heroes di Bowie particolarmente vibrante. Con i primi pezzi registrati che vengono rimbalzati da diverse etichette, la svolta arriva quando incontrano sulla loro strada un giovane Daniel Miller, produttore elettronico che aveva fondato la label Mute nel 1978, dove nel giro di un paio di anni, dopo il suo storico singolo Warm Leatherette a nome The Normal, erano usciti dischi di un altro progetto milleriano, Silicone Teens, e di Fad Gadget, Boyd Rice e DAF. Miller che accompagnerà sempre il lavoro di studio, prima come coproduttore e poi come supervisore amicale, di una band che diventerà presto la sua svolta commerciale ma prima di tutto un affare emotivo, con i Depeche un legame di sangue, loro una sorta di conferma pop della direzione di un’etichetta sempre attenta alle sperimentazioni.
Dopo un paio di singoli i Depeche Mode, nome mutuato da una rivista di moda francese intercettata da Gahan, nel 1981 escono con il primo album, “Speak & Spell”, dominato dalla squittente syntheria camp e dalla scrittura di Vince Clarke, uptempo stilizzati e battenti, schegge che fanno pensare a una versione electro-pop del northern soul, canzoni anglo-operaiste da ballare, testi veloci su cifra teenage. Apre la scheggia futuristica di New Life, e la galoppante I Sometimes Wish I Was Dead consolida un clima naif ma incisivo che connota tutto l’album e lo stile di questi primi Depeche. Puppets studia un mood più discorsivo, Boys Say Go! va su un innodico suburbia, Nodisco satireggia e ammicca disco con sghemba basseria in levare, What’s Your Name è popperia sparata con gancio “hey you’re such a pretty boy”, Photographic torna su binari futuristici, il primo pezzo finora che fa prevalere electro su pop, seguito nel mood dalla venata di dark Tora! Tora! Tora!, che con lo strumentale panoramico Big Muff sono gli unici due numeri scritti da Martin Gore. Il disco è chiuso dallo squarcio moody Any Second Now, e da Just Can’t Get Enough con il suo syntherama demolitore e le arie pop contagiose. […]
…segue per 10 pagine nel numero 179 di Blow Up, in edicola nel mese di Aprile 2013 al costo di 6 euro.
• Se non lo trovate in edicola potete ordinarlo direttamente dal nostro sito (BU#179) al costo di 10 euro - spese postali incluse - e vi verrà spedito immediatamente via posta prioritaria. Se lo richiedete dopo il mese di riferimento dell’uscita vi verrà spedito, come ogni altro arretrato, con l’invio mensile di abbonamenti e arretrati.
• Il modo migliore, più rapido, sicuro ed economico per avere Blow Up è l'abbonamento: risparmiate minimo 16 euro sul prezzo di copertina e avete la certezza di non perdere neanche uno dei numeri pubblicati garantendovi tutti gli eventuali allegati e i numeri speciali; in caso di eccessivo ritardo o smarrimento postale ve lo spediremo di nuovo.
Ogni mese Blow Up propone monografie, interviste, articoli, indagini e riflessioni su dischi, libri, film, musicisti, autori letterari e cinematografici scritti dalle migliori penne della critica italiana.
A FIANCO A QUEL giardino delle meraviglie che è stato il pop indipendente inglese anni ’80, più o meno in dialogo con le tradizioni, c’era un altro paradiso dove troneggiava un manipolo di band non necessariamente connotate dall’outlet discografico, indie o major, gruppi che ognuno con il proprio dialetto hanno zoomato l’immagine del pop modernizzandolo nella sua idea basica di ossessione melodica, in un’urgenza del momento che ha segnato il preciso spirito di quel tempo, ma con tanta personalità da diventare classici istantanei, autori di un loro gioco inimitabile capace di incidere per generazioni. Pensiamo agli Smiths, ai Pet Shop Boys, ai Cure, anche quelli più dark, e ai Depeche Mode. Basildon, Essex, il nucleo della band è formato da Vince Clark e Andy Fletcher, entrambi tastieristi, a cui poi si affianca Martin L. Gore, pure lui tastiere (in futuro anche voce e chitarra), tutti reduci da esperienze in band giovanili da artigianato new-wave. Il cerchio è completato quando vedono questo cantante, Dave Gahan, che con un suo gruppetto fa una Heroes di Bowie particolarmente vibrante. Con i primi pezzi registrati che vengono rimbalzati da diverse etichette, la svolta arriva quando incontrano sulla loro strada un giovane Daniel Miller, produttore elettronico che aveva fondato la label Mute nel 1978, dove nel giro di un paio di anni, dopo il suo storico singolo Warm Leatherette a nome The Normal, erano usciti dischi di un altro progetto milleriano, Silicone Teens, e di Fad Gadget, Boyd Rice e DAF. Miller che accompagnerà sempre il lavoro di studio, prima come coproduttore e poi come supervisore amicale, di una band che diventerà presto la sua svolta commerciale ma prima di tutto un affare emotivo, con i Depeche un legame di sangue, loro una sorta di conferma pop della direzione di un’etichetta sempre attenta alle sperimentazioni.
Dopo un paio di singoli i Depeche Mode, nome mutuato da una rivista di moda francese intercettata da Gahan, nel 1981 escono con il primo album, “Speak & Spell”, dominato dalla squittente syntheria camp e dalla scrittura di Vince Clarke, uptempo stilizzati e battenti, schegge che fanno pensare a una versione electro-pop del northern soul, canzoni anglo-operaiste da ballare, testi veloci su cifra teenage. Apre la scheggia futuristica di New Life, e la galoppante I Sometimes Wish I Was Dead consolida un clima naif ma incisivo che connota tutto l’album e lo stile di questi primi Depeche. Puppets studia un mood più discorsivo, Boys Say Go! va su un innodico suburbia, Nodisco satireggia e ammicca disco con sghemba basseria in levare, What’s Your Name è popperia sparata con gancio “hey you’re such a pretty boy”, Photographic torna su binari futuristici, il primo pezzo finora che fa prevalere electro su pop, seguito nel mood dalla venata di dark Tora! Tora! Tora!, che con lo strumentale panoramico Big Muff sono gli unici due numeri scritti da Martin Gore. Il disco è chiuso dallo squarcio moody Any Second Now, e da Just Can’t Get Enough con il suo syntherama demolitore e le arie pop contagiose. […]
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TUTTLE Edizioni - P.iva 01637420512 - iscrizione rea n. 127533 del 14 Gennaio 2000