di Alberto Pezzotta

CAPITA CHE un regista smetta di avere qualcosa dire, e diventi un manierista o semplicemente un professionista, un esecutore. Nulla di male: tutti devono campare e non devono dimostrare niente a nessuno. Lo si capisce a posteriori, ma nel momento in cui avviene questo trapasso in genere si applaude ancora, entusiasti e illusi. Poi, certo, la maggioranza dei critici e dei fan, fedele al culto dell’autore e in eterna ricerca di conferme identitarie e narcisistiche, non lo ammetterebbe mai e continua ostinata nel suo culto. Ma è così. È umano. In questa epoca di consumismo culturale alimentato dai festival, i tempi si sono inoltre accorciati. E a ripercorrere le filmografie di quelli che una volta erano i registi che ci facevano sognare, ci si accorge che la data dell’inizio della fine spesso va mestamente anticipata. Nel caso di Takeshi Kitano, il film del trapasso, siamo onesti, era già Hana-bi (1997). Nel caso di Terrence Malick, La sottile linea rossa (1998) era già l’inizio della catastrofe? E nel caso di Park Chan-wook? Nel 2003 mi ero esaltato per Old Boy, come tutti: ma a ben vedere era un film pensato per il pubblico internazionale e retto unicamente da un virtuosismo tanto effettistico quanto artificioso e stucchevole. […]

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