D.A.F.
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Paolo Bertoni

“Deutschland, Deutschland, alles ist vorbei” è urlo che all'alba degli '80 si specchia nel ben avviato declino non solo della Germania ma anche dell'Europa romanticamente intesa. Le vicende, controverse e contraddittorie, di DEUTSCH-AMERIKANISCHE FREUNDSCHAFT.

[…] NELL’ULTIMA MESSE di ristampe di Bureau B, che da quasi un lustro intreccia teutonici percorsi sonori dei decenni '70 e '80 fortemente relazionati, c'è anche “Produkt Der Deutsch-Amerikanischen Freundschaft”. Un pretesto per tornare a dire della formazione di Dusseldorf, indiscutibilmente tra i cardini della scena elettronica d'ogni tempo, ampliando e aggiornando il mio articolo pubblicato da Dynamo! nel lontano luglio '95. Nel girovagare alla metà degli '80 nella DDR nella sfida di un amour fou, ad ogni città raggiunta ero curioso su quanto sarebbe servito per arrivare al cospetto di una piazza dove, col contorno di logore bandiere di due stati che ora non esistono più, troneggiassero cartelloni che inneggiavano all'amicizia tedesco-sovietica. Di strada ne bastava sempre pochissima, e ogni volta il pensiero andava a quei tedeschi, che sempre più comprendevo, dell'altra Germania, che come esempio di resistenza fieramente europea al colonialismo statunitense avevano scelto di battezzarsi Deutsch-Amerikanische Freundschaft. Quel nome peraltro, condensato in acronimo, forniva un altro riferimento storico quanto mai preciso, poiché DAF era stata la sigla con cui si identificava il Deutsche Arbeitsfront, ente del Terzo Reich e organizzazione corporativista in cui forzatamente confluirono i sindacati perdendo ogni tipo di autonomia dalle direttive del partito nazionalsocialista, similmente a quanto era già avvenuto in Italia col fascismo.
La loro storia è soprattutto quella di Gabi Delgado-Lopez, natali andalusi, da bambino migra a Wuppertal con la famiglia in cerca di lavoro, e di Robert Gorl, di tre anni più vecchio, nono figlio di una famiglia bavarese indigente, che dalla morte della madre, nel '62, quindi dai sette anni alla maggiore età, vive in un orfanotrofio. Adolescenze non facili, ma i due non si smarriscono perché qualcosa li eleva da plumbei, o semplicemente grigi, destini, il primo impegnandosi, pur come presenza marginale, in Mittagspause, band che ancor più con l'originale incarnazione col nome di Charlie's Girls è tra le più tempestive nel continente ad afferrare dalle isole la fiaccola punk, il secondo con l'ambizione di diventare musicista, jazz o classico che sia. Il contributo di Gabi nel gruppo capitanato da Peter Hein, aka Janie J. Jones, resta rilevante non tanto per le sue apparizioni come seconda voce quanto perché è l'autore del testo di Militurk che, nonostante sia un improbabile ballad per buona parte del suo sviluppo nell'unico atto del gruppo in vita, il doppio 12” eponimo del '79 - il postumo live “Punk Macht Dicken Arsch” è dell'81 - rimarrà uno dei pezzi classici del punk teutonico. Hein nella sua evoluzione wave in Fehlfarben lo riproporrà nel debutto “Monarchie Und Alltag”, ma soprattutto quelle liriche travaseranno nella leggendaria Kebab-Traume. […]

…segue per 6 pagine nel numero 172 di Blow Up, in edicola nel mese di settembre 2012 al costo di 6 euro.

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