Cosmopolis
Cosmopolis
Luca Malavasi, Massimiliano Spanu

Un approfondimento sull’ultimo film di DAVID CRONENBERG, tratto dal romanzo di DON DELILLO


CEREBROPOLIS
di Massimiliano Spanu

[…] AL CINEMA DELLA “nuova carne”, dell’organico e delle sue mutazioni, la critica si è dedicata - almeno nel recente passato, quello degli anni Ottanta e Novanta - con notevole assiduità, rimanendo spesso prigioniera dei propri vezzi peggiori, quelli del giudicare per formule preconfezionate e alla moda. Il florilegio d’interventi critici consacrati a David Cronenberg ne ha fatto, a riguardo, l’autore di riferimento, studiato e compreso sino in fondo, ma, come capita sempre in questi casi, subitaneamente pensato come salma onorabile, ascritta ad un pantheon di maestri e maestrini “di culto”, irrimediabilmente passé. Mi sembra, invece, che Cronenberg (la sua scrittura filmica e i suoi testi, i film) necessiti di un ripensamento sincero, esercitato e distanziato, cioè d’uno sguardo metodologicamente analitico, riferito alle modalità complessive di scrittura dell’autore canadese, non solo ai contenuti più superficiali della sua materia espressiva. Quello di Cronenberg, infatti, pare corpus di opere che richiede urgentemente, per fare un solo esempio, un approccio politico, non solo vagamente esteticheggiante o cinefilo. Cosmopolis, ultima piccola gemma del nostro, lo conferma appieno (così come facevano Videodrome ed eXistenZ, che ponevano il problema, cioè l’autoriferita e fagocitante società dell’immagine, la crisi della Verità, della Realtà, ecc.). Quindi, sarebbe d’uopo un’ipotesi esplorativa innovata, che metta da parte un certo snobismo da “addetti ai lavori” che prima ha glorificato l’autore canadese, e che oggi lo liquida con singolare disinteresse e costanza. […]


UNA LUNGA COLLABORAZIONE
di Luca Malavasi

[...] L’uomo che cade, titolo del 2007 (per l’Italia, 2008, Einaudi), starebbe bene anche al romanzo precedente di Don DeLillo, Cosmopolis (2003). E viceversa. Anzi: il libro del 2003 è per certi versi la premessa a quello successivo, che racconta dell’Undici Settembre, intrecciando le vite degli attentatori a quella di una famiglia newyorkese che prova, come può, a elaborare le conseguenze dell’attacco terroristico. A pagina 118 di L’uomo che cade si legge: «Ma è proprio per questo che avete costruito le torri, no? Non sono forse state costruite come fantasie di ricchezza e potere destinate un giorno a trasformarsi in fantasie di distruzione? Una cosa del genere la si costruisce soltanto per vederla crollare. La provocazione è evidente». La parola per dirlo è difficile, hubris, ma è quella giusta; la cita anche uno dei tre supereroi per caso di Chronicle. Che sono, per certi versi, la versione contemporanea e più correttamente omerica del “peccato” di cui sopra. Ne soffre anche il protagonista di Cosmopolis, Eric Packer, che vive in una torre di ottantanove piani, la più alta del mondo – tra quelle residenziali (è l’unico dettaglio omesso nel film di Cronenberg, riportato nelle prime pagine del libro). Quella torre è Eric, e come altre torri è arrogante, e come altre torri è stata costruita per essere distrutta. Eric si fa visitare tutti i giorni, elettrocardiogramma e sfioramento di prostata? Non certo per la paura di morire, ma per la paura di morire in modo banale, magari nel week-end, per un attacco di cuore. [...]

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