di Beppe Recchia

[nell'immagine: Cat Power, foto di Mario Sorrenti]

Qualunque sia l’ideale playlist delle migliori canzoni di Chan Marshall, bisognerà sempre lasciare uno spazio per le canzoni che Chan Marshall ha fatto sue, meglio per come le ha fatte sue, dall’essenziale e ipnotica lettura di (Can’t Get No) Satisfaction dei Rolling Stones alla viscerale e atonale evocazione di Yesterday Is Here di Tom Waits. La cantautrice di Atlanta ha lasciato il suo segno profondo come interprete, tanto nelle cover spesso inserite nelle scalette dei suoi album originali, quanto in dischi interamente dedicati a rifacimenti, che hanno anzi spesso fatto da eco al suo percorso musicale. Come “The Covers Album” del 2000 era chiaramente influenzato dal folk, così “Jukebox” del 2008 ha segnalato il (ri)trovato gusto per il soul. Arriva oggi una terza raccolta, semplicemente intitolata “Covers”, che richiama i toni più sussurrati ma sereni di “Wanderer”, il ritorno del 2018, dopo parecchi anni di assenza, un cambio di etichetta, la lotta contro una malattia autoimmune e la gravidanza.
La Cat Power che intervistiamo in una sera di fine autunno è ancora un fiume in piena, che si schernisce se pensa di non aver centrato la risposta ma che non disegna di perdersi nei racconti delle sue lunghe peregrinazioni con la chitarra in giro per il mondo. Se la copertina di “Wanderer” catturava con pudore il profilo del figlio treenne, quella di “Covers” raffigura semplicemente una matita e un passaporto nel taschino di una camicia di tela blu. Chan Marshall è così, per sempre nomade ma non per questo senza direzione. […]

…segue per 4 pagine nel numero 284 di Blow Up, in edicola a gennaio 2022

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