Blue Nile - Paul Buchanan
Blue Nile - Paul Buchanan
Riccardo Bertoncelli

L’elusivo trio di Glasgow si è quasi ufficialmente sciolto. Ma PAUL BUCHANAN prosegue il discorso, con la discrezione, il mistero, l’intensità di sempre. A mezz’aria.

[…] TANTI E TANTI ANNI FA, se riesco a scriverlo senza sembrare un nonno davanti al caminetto, intervistai Andy Partridge degli XTC avvalendomi di un fax, lui nella sua stanzetta di Swindon, io negli uffici della Virgin a Milano. Erano i tempi di Mummer, Andy era in buona forma e la tecnologia metteva disposizione delle nostre chiacchiere quel buffo strumento che allora sembrava un giant leap for the mankind e invece era solo un bruscolino della storia destinato a diventare ferrovecchio in un amen. Ma sto divagando e torno al punto. Una delle domande che posi al signor P fu quali dischi ascoltasse in quel periodo, e se magari qualche nuova band che non i Beatles Kinks o Pretty Things che già potevo immaginare. Lui mi rispose citando tre “morning records”, così li chiamava, che lo aiutavano a riabituarsi alle trasmissioni del pianeta Terra dopo notti abitualmente agitate: Smiley Smile dei Beach Boys, The Wonderful And Frightening World dei Fall e Walk Across The Rooftops dei Blue Nile. Classifica improbabile e assolutamente provvisoria, avvisava; in quel periodo, solo in quel periodo.
Incassai, bene, ringraziai – però chi erano i Blue Nile? Svolsi indagini. Avevano un solo disco in catalogo ed era distribuito dalla Virgin, e per un attimo credetti di capire che quelle parole altro non erano che una cortesia tra “cugini”. Macché. Quando riuscii ad afferrare l’album e a ficcarci le orecchie dentro, scoprii che Partridge non aveva parlato per diplomazia, anzi, a pensarci bene era andato anche contro i suoi interessi; il fiore odoroso ma gracile di Mummer appassiva al confronto di quella blue gardenia, con il suo voluttuoso profumo di passione e malinconia, di ricordi e chiaroscuri notturni (che strana quell’idea di ascoltarlo al risveglio e non tra le braccia delle ore più piccole). Che disco meraviglioso. Negli anni della grande ebbrezza electro pop, i Blue Nile non usavano i synt come ipnotico (s)ballabile o audio-gioco per scaramucce stellari ma fantasticavano un intenso pop impressionistico che a volte si adagiava nella riflessione intima (Easter Parade, Automobile Noise) e in altri momenti prefigurava la etno-elettronica di Peter Gabriel, con immaginarie foreste sonore da cui si levavano ritmi di “gamelan virtuale” (la bellissima From Rags To Riches). La musica aveva una marcata qualità cinematografica e in una intervista anni dopo il leader, Paul Buchanan, avrebbe confessato di avere proprio visto quei brani, sullo schermo della mente. “Il basso di Walk Across The Rooftops era per noi verticale, scendeva a zig zag come una scala antincendio; mentre la chitarra di Tinseltown In The Rain aveva il suono del traffico, il ronzio della strada che si sente oltre le finestre chiuse”. […]

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