Black Sabbath
Black Sabbath
di Federico Guglielmi
LA MITOLOGIA montata attorno al rock, specie quello degli anni cruciali ’60 e ’70, è una brutta bestia. Fa credere a musicisti sempre illuminati dal loro genio, a mirabolanti programmazioni di ogni mossa artistica e promozionale, ad accurati studi sui rapporti tra cause ed effetti, quando la maggior parte delle vicende ha invece avuto come fulcro il caso, e talvolta il caos. La storia dei Black Sabbath è in tal senso esemplare: quasi nulla di ciò che il conoscitore medio dà per scontato è vero… anche se a ben vedere appare assolutamente plausibile, a iniziare dalla fama di seguaci del Maligno che precede la band inglese. C’è da stupirsi e divertirsi, a ripercorre e analizzare nei dettagli l’epopea del quartetto, specie le sue azioni di quel primo lustro di attività ufficiale durante il quale diede il meglio di sé e soprattutto stabilì le coordinate del sound cui, al di là degli inevitabili aggiustamenti di rotta, avrebbe consacrato tutta la carriera. Sfatiamo allora subito qualche leggenda dicendo che i ragazzi non erano affatto satanisti (solo uno di loro - il bassista - si interessava di occultismo) e che il nome scelto per il gruppo non faceva riferimento a riti demoniaci ma era stato “rubato” al titolo inglese de I tre volti della paura, film horror del 1963 diretto da Mario Bava con Boris Karloff. Oltre che nella sigla sociale, le ragioni dell’equivoco - su cui i Nostri avrebbero comunque speculato - sono da ricercare nell’artwork dell’album di debutto, giunto nei negozi britannici con il marchio della quasi neonata Vertigo il 13 febbraio 1970, naturalmente un venerdì. Come non pensare al Signore del Male di fronte alla foto dai colori lividamente psichedelici scattata da Marcus Keef (per l’anagrafe, Keith MacMillan), nella quale spicca una spettrale, minacciosa figura femminile con sullo sfondo l’antico e altrettanto poco rassicurante mulino ad acqua di Mapledurham, Oxfordshire? E come non prendere per buono il noto assioma di Agatha Christie, quella dei tre indizi che fanno una prova, scoprendo che all’interno della nerissima copertina apribile i credit sono inseriti - assieme a una cupa introduzione - in una croce capovolta? Beh, i Black Sabbath non ebbero voce in capitolo né per l’una, né per l’altra: le decisioni furono dello staff dell’etichetta e loro dovettero adeguarsi, convinti dall’immagine presente sul fronte/retro del disco - azzeccata e originale - ma contrariati per la soluzione della croce, che fu notata e diede luogo a fraintendimenti. […]
…segue per 12 pagine nel numero 261 di Blow Up, in edicola a febbraio 2020
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Ogni mese Blow Up propone monografie, interviste, articoli, indagini e riflessioni su dischi, libri, film, musicisti, autori letterari e cinematografici scritti dalle migliori penne della critica italiana.
LA MITOLOGIA montata attorno al rock, specie quello degli anni cruciali ’60 e ’70, è una brutta bestia. Fa credere a musicisti sempre illuminati dal loro genio, a mirabolanti programmazioni di ogni mossa artistica e promozionale, ad accurati studi sui rapporti tra cause ed effetti, quando la maggior parte delle vicende ha invece avuto come fulcro il caso, e talvolta il caos. La storia dei Black Sabbath è in tal senso esemplare: quasi nulla di ciò che il conoscitore medio dà per scontato è vero… anche se a ben vedere appare assolutamente plausibile, a iniziare dalla fama di seguaci del Maligno che precede la band inglese. C’è da stupirsi e divertirsi, a ripercorre e analizzare nei dettagli l’epopea del quartetto, specie le sue azioni di quel primo lustro di attività ufficiale durante il quale diede il meglio di sé e soprattutto stabilì le coordinate del sound cui, al di là degli inevitabili aggiustamenti di rotta, avrebbe consacrato tutta la carriera. Sfatiamo allora subito qualche leggenda dicendo che i ragazzi non erano affatto satanisti (solo uno di loro - il bassista - si interessava di occultismo) e che il nome scelto per il gruppo non faceva riferimento a riti demoniaci ma era stato “rubato” al titolo inglese de I tre volti della paura, film horror del 1963 diretto da Mario Bava con Boris Karloff. Oltre che nella sigla sociale, le ragioni dell’equivoco - su cui i Nostri avrebbero comunque speculato - sono da ricercare nell’artwork dell’album di debutto, giunto nei negozi britannici con il marchio della quasi neonata Vertigo il 13 febbraio 1970, naturalmente un venerdì. Come non pensare al Signore del Male di fronte alla foto dai colori lividamente psichedelici scattata da Marcus Keef (per l’anagrafe, Keith MacMillan), nella quale spicca una spettrale, minacciosa figura femminile con sullo sfondo l’antico e altrettanto poco rassicurante mulino ad acqua di Mapledurham, Oxfordshire? E come non prendere per buono il noto assioma di Agatha Christie, quella dei tre indizi che fanno una prova, scoprendo che all’interno della nerissima copertina apribile i credit sono inseriti - assieme a una cupa introduzione - in una croce capovolta? Beh, i Black Sabbath non ebbero voce in capitolo né per l’una, né per l’altra: le decisioni furono dello staff dell’etichetta e loro dovettero adeguarsi, convinti dall’immagine presente sul fronte/retro del disco - azzeccata e originale - ma contrariati per la soluzione della croce, che fu notata e diede luogo a fraintendimenti. […]
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TUTTLE Edizioni - P.iva 01637420512 - iscrizione rea n. 127533 del 14 Gennaio 2000